Un cardinale detenuto racconta quanto di buono c'è nel carcere
domenica 26 luglio 2020
Si intitola «I miei giorni in prigione» ed è il breve diario consegnato dal cardinale australiano George Pell all'opinione pubblica sui suoi 400 giorni di detenzione. Era stato giudicato nel 2019 colpevole di violenze sessuali, perpetrate nel 1996 ai danni di due tredicenni coristi della cattedrale di Melbourne, e condannato a sei anni di carcere; nell'aprile 2020 l'Alta corte australiana aveva accolto il suo appello e lo aveva assolto, considerando troppo deboli le prove portate a suo carico. La rivista americana "First Things" pubblica il diario sul numero di agosto, ma è online dall'8 luglio ( bit.ly/3fY6z20 ) e dunque ha goduto di successive riprese, parziali e integrali, sia sui media dell'Australia e anglofoni in genere, sia su quelli italiani, da "Faro di Roma" (il 15 luglio: bit.ly/2ZWjICZ ), al "Messaggero" (il 16 luglio), a "Tempi" (il 24 luglio: bit.ly/2CP7a7N ). Senza particolari clamori. Si tratta infatti di un testo sobrio, asciutto, tutto centrato sull'esperienza della detenzione. Segnalo tre evidenze, dalla più marginale alla più significativa. «La vita in prigione ha spazzato via la scusa che fossi troppo indaffarato per pregare», scrive Pell, non rinunciando all'ironia; altrove annota che la lampada sul letto era posizionata meglio che in certi hotel di lusso. «Una sera, ho origliato una violenta discussione riguardo alla mia colpevolezza», racconta, per ribadire che il processo a suo carico è stato celebrato sui media molto più che nelle aule giudiziarie, e che la società australiana, compreso il carcere, rimane divisa tra colpevolisti e innocentisti. «Sono rimasto impressionato dalla professionalità delle guardie, dalla fede dei carcerati e dalla presenza di una moralità perfino nei luoghi più oscuri», dichiara Pell in apertura, e per l'intero diario non è lui il protagonista del racconto, ma la prigione e la «bontà» che contiene. Come ha commentato Luigi Accattoli ( bit.ly/3jCAMFW ), «mostra d'intendere la difficile umanità delle carceri».
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