“Trump, pregiudicato alla Casa Bianca” Nel Sud del mondo però si fidano di lui
venerdì 17 gennaio 2025
Caro Avvenire, non è che potessimo aspettarci di meglio dopo la esecrabile azione di Capitol Hill, ma è mai possibile che un reo, condannato dalla giustizia, possa guidare uno dei Paesi più importanti del mondo? Ma con i soldi e la sbruffoneria si può calpestare la democrazia? Personalmente sono sconcertato ed avvilito. Sergio Bazerla Caro Bazerla, lei si riferisce a Donald Trump, che è stato riconosciuto colpevole di avere violato le leggi sul finanziamento elettorale e sui bilanci aziendali nel suo tentativo di tenere segreta una relazione con l’attrice Stormy Daniels, versandole 130mila dollari occultati con una serie di falsificazioni contabili. Il 47° presidente americano che si insedia lunedì prossimo si è sempre dichiarato innocente, non ha ricevuto nessuna pena, ma sarà comunque il primo capo della Casa Bianca con una condanna passata in giudicato. Tutti gli altri procedimenti contro di lui sono decaduti con l’elezione, anche se per l’assalto al Campidoglio le prove sarebbero state probabilmente sufficienti per un’incriminazione formale, come è stato rivelato pochi giorni fa. Tuttavia, caro Bazerla, dobbiamo guardare la situazione da una prospettiva più larga. Un sondaggio internazionale appena diffuso dall’European Council on Foreign Relations (ECFR) segnala che i cittadini delle medie potenze mondiali sono ottimisti sul ritorno di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti. Dall’India e dalla Cina fino alla Turchia e al Brasile, la maggioranza o un’ampia percentuale ritiene che sarà una “buona cosa” per la pace nel mondo, il loro Paese e anche per gli stessi americani. Ciò è particolarmente vero in India, il Paese più popoloso del pianeta, dove l’82% degli intervistati saluta positivamente il cambio di leadership. Lo stesso accade in Arabia Saudita (sebbene con un dato leggermente più basso) e, non sorprendentemente, in Russia. Soltanto l’Unione europea, con la Gran Bretagna e la Corea del Sud, mostra preoccupazione per il secondo mandato (non consecutivo) del tycoon repubblicano. È paradossale che tutti gli alleati principali degli Usa nutrano scetticismo sul fatto che la nuova guida della superpotenza possa portare miglioramenti nella situazione in Ucraina e in Medio Oriente. Proprio in queste ore, Trump si intesta il merito della tregua a Gaza (sempre che scatti davvero, come tutti speriamo), e certamente ha avuto un ruolo, anche se non necessariamente decisivo. Che cosa significa questo? In primo luogo, che esiste una marcata differenza di visione tra noi occidentali e il cosiddetto Sud globale. Quello che per molti di noi è un politico spregiudicato e inaffidabile (non per la maggioranza degli americani andati alle urne in novembre, però), è considerato nel resto del mondo il possibile artefice di un cambio radicale di fronte a scenari geostrategici sgraditi alle nazioni emergenti. Andrà così? Non lo sappiamo. Rimangono legittimi tutti gli interrogativi sulle conseguenze che lo stile di Trump e della sua Amministrazione tecnocratica con inclinazioni opposte libertarie-autoritarie potrà avere sulle liberal-democrazie del Vecchio Continente. E non solo. In questi giorni il mondo del non profit con base negli Stati Uniti è in fibrillazione per un progetto di legge dei repubblicani che il Congresso rinnovato sarà chiamato a valutare, in base al quale il presidente, con un semplice atto amministrativo, potrà dichiarare vicina al terrorismo qualsiasi Ong, revocandole le esenzioni fiscali e condannandola, quindi, al probabile fallimento sia per il discredito reputazionale sia per le ricadute economiche. La cosiddetta “Nonprofit Killer Bill” potrebbe essere uno strumento per mettere a tacere tante voci di opposizione della società civile. Anche questo sarà un test per il nuovo corso della Casa Bianca. C’è ormai poco da attendere: vedremo presto scelte e decisioni, insieme agli effetti che ne sortiranno. © riproduzione riservata
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