Tre preghiere popolari online e i loro differenti contesti
sabato 18 gennaio 2025
Accanto all’aiuto alla preghiera personale, fornito attraverso app e non solo, in Rete capita anche di incontrare preghiere che, sostenute dal contesto, si fanno notizia. Risale alla scorsa estate la pubblicazione, sull’account Instagram di Yvon Kanters, di un video (bit.ly/40gcc3R) nel quale Rudy, un anziano tenore affetto da demenza senile, intona l’Ave Maria di Gounod. Olandese, 26 anni, è dal 2020 – l’anno del Covid – che Kanters ha associato il suo talento per la musica alla formazione universitaria nell’ambito dei servizi sociali. Ha osservato che il canto può essere proposto agli ospiti delle case di riposo come una vera e propria terapia, in quanto capace di risvegliare in loro memorie sopite e, spesso, felici. Su Instagram (e su YouTube, canale “YVON Myoso Music” bit.ly/4hdphSo) Kanters pubblica i risultati del suo lavoro, con risposte lusinghiere anche in termini di popolarità digitale: oltre 100mila follower e decine di migliaia di visualizzazioni per ciascun reel. Ma i 28,3 milioni di click ottenuti dall’Ave Maria di Rudy rimangono inarrivabili. Si devono, a mio parere, al contesto di cura, in cui si inseriscono la speciale intensità del duetto al quale i due cantanti danno vita, l’universalità di questa preghiera – anche a motivo della lingua latina –, l’emozione che comunque l’immagine di un anziano in casa di riposo suscita e la circostanza che il tenore è morto poco dopo aver eseguito con Kanters questo e altri duetti. Il “Padre nostro” nella movida È invece di puro entertainment il contesto del video che Max (all’anagrafe Massimo) Sganga ha postato il giorno di Natale (sic!) sui suoi prolifici account social: YouTube, TikTok, Instagram e Facebook in ordine di follower, che in totale sono oltre 500mila. L’autore interroga in rapida successione un po’ di ragazze e ragazzi sul testo del Padre nostro (bit.ly/4j9ZSeh), se occorre suggerendo. Il montaggio evidenzia errori e vuoti veri e propri, con qualche esito che – se la cosa fosse seria e non un gioco – darebbe da riflettere a teologi e pastoralisti: da «sia giustificato il tuo nome» a «sia fatta la sua libertà», per non dire delle spiegazioni accampate dai più smemorati, come «sì, la conosco ma non mi ricordo le parole» o «non sono neanche battezzato». Il bottino è di 540mila visualizzazioni equamente ripartite tra YouTube e TikTok. «Consulente informatico e blogger che lavora nel mondo della tecnologia, sviluppo software, video e web design», come si racconta su Linkedin, Sganga ha 35 anni, è di Trieste e «col triestino, dialetto ricco di spunti divertenti, gioca molto», dice di lui un servizio della Tgr Friuli Venezia Giulia (bit.ly/3ClJN4l), aggiungendo che «esplora anche altri format, come gli indovinelli al popolo della movida» (è il caso di questo video), i luoghi abbandonati, l'etimologia delle parole. Afferma che la sua cifra è la leggerezza (aggiungo: con qualche goliardica volgarità); così, per scherzare con i passanti, tra proverbi e quiz matematici vien buona, ahinoi, anche la più importante preghiera cristiana. Il “Regina Caeli” sulle ceneri di Los Angeles È infine il contesto della dura prova, e dell’aiuto che viene dalla preghiera, quello in cui sono calati i due video girati il 7 gennaio ad Altadena (Los Angeles): sul terreno di una casa distrutta dal grande incendio che sta devastando quel territorio si raduna la famiglia Halpin, che vi abitava. Come racconta Matthew McDonals sul “National Catholic Register” (bit.ly/40bgVDW), il gruppo (i due genitori, sei figli adulti e quattro loro coniugi), dopo aver pregato davanti a una statua di Nostra Signora di Guadalupe che il fuoco ha risparmiato, ha intonato, guidato dal padre Peter, un Regina Caeli del XII secolo. Uno dei filmati che ritraggono la scena, postato su Instagram da tale Nicole Tittmann (bit.ly/4arQe2E), viaggia verso i 3 milioni di visualizzazioni; ce n’è anche un altro, caricato da una degli Halpin sul proprio piccolo canale YouTube (bit.ly/3CkuCZ9), che di visualizzazioni ne ha ricevute 51mila. La Rete è anche veicolo di una raccolta fondi a sostegno degli Halpin, lanciata da uno dei figli, Pete: mentre scrivo ha già raggiunto 140mila dollari. Le parole con le quali Pete lancia la raccolta e quelle di Andrew, un altro dei figli, intervistato dal “Register”, sono il miglior commento a questi video: testimoniano che quella casa di famiglia è stata sempre luogo di ospitalità, gioia, sostegno e amore per chi vi abitava e per un’ampia cerchia di “prossimi”, e che nel momento in cui hanno perso la loro casa sanno che si deve dare tutto a Dio, confidando di «stare nel palmo della sua mano». © riproduzione riservata
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