Tecnologie per l’efficienza E l’umanità? Paolo Benanti
giovedì 9 febbraio 2023
Nel Messaggio per la Giornata mondiale del Malato in programma venerdì 11 Francesco pone il dramma della malattia in un contesto che è sostanzialmente esistenziale: «La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri “si arrangino”». Questa prospettiva ci permette di interrogare la stagione di estrema digitalizzazione – anche medica – che stiamo attraversando con questa lente e in questa prospettiva. In un momento in cui le macchine diagnostiche, grazie all’Internet of Things, cioè al fatto che sono tutte connesse in rete e dotate di sensori avanzati, le cartelle elettroniche e i progressi – essenziali per una migliore cura – della telemedicina aiutano a sconfiggere anche l’isolamento del malato? Aiutano in quella relazione medico-paziente e a umanizzare le cure e vincere la prostrazione di un soggetto umano che si capisce debole e fragile? A tal riguardo forse può essere utile, come monito, tornare alle riflessioni che circa un decennio fa faceva Shirley Turkle nel testo Alone Together (in italiano Insieme ma soli, Einaudi). L’autrice è una sociologa, psicologa e tecnologa statunitense che si occupa di studi sociali nel contesto delle relazioni tra tecnologia e soggetti umani. Nella sua analisi la Turkle insiste molto sul tema della solitudine, una condizione esistenziale ormai talmente comune che, in sostanza, non vi rinunciamo neanche quando siamo in compagnia: dagli studi della sociologa emerge con chiarezza che, per evitare rischi e inconvenienti delle relazioni umane sempre più spesso preferiamo rivolgere la nostra emotività sugli artefatti tecnologici. Un ruolo speciale, per la Turkle, lo hanno i social network e più in generale la comunicazione mediata che, sostiene l’autrice, è ormai la modalità preferita non solo degli adolescenti ma anche di molti adulti. Preferiamo mandare un Whatsapp piuttosto che fare una chiamata telefonica, troviamo più comodo chattare rispetto a incontrarci in piazza, i social network ci danno la sensazione – o l’illusione, nell’analisi della Turkle – di avere tanti amici sempre disponibili. L’elemento della mediazione tecnologica con oggetti fisici come i robot, o con dispositivi software, produce una progressiva fuga dalle relazioni dirette, in favore di quelle mediate. La domanda che dobbiamo fare a una medicina che, grazie al digitale e alle tecnologie della comunicazione, ottiene sempre maggiori risultati è se oltre all’efficienza sta favorendo una vera umanizzazione delle cure. L’algoretica ci chiede non solo di badare alle macchine ma anche di tutelare con forza l’umano coinvolto in questi processi. Specie quelli di cura dei fragili, come la medicina. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: