“Succession”, serie cinica e spietata
giovedì 1 novembre 2018
«Un uomo è quello che fa»: affermazione inquietante, ma perfetta per capire Succession, la nuova e provocatoria serie in onda il martedì alle 21.15 su Sky Atlantic. A preoccuparsi di non essere più nessuno è uno dei personaggi nel momento in cui viene degradato. Realizzata dall'emittente televisiva statunitense Hbo, Succession è prodotta da Adam McKay (che firma anche come regista il primo episodio) e da Will Ferrell, con Brian Cox nei panni di un magnate a capo di una famiglia disfunzionale e di un impero mediatico multimilionario. Succession è un cosiddetto family drama, a conferma di quanto ancora, paradossalmente, la famiglia nelle sue varie articolazioni interessi gli autori delle fiction e di conseguenza del pubblico, soprattutto in America da dove arriva anche il maggior numero di sitcom con storie di padri, madri e figli a confronto. Il più delle volte la famiglia è rappresentata come un modello astratto da accettare o rifiutare, invece che una realtà concreta da vivere, mettendo in ombra o addirittura in cattiva luce la famiglia cosiddetta tradizionale a beneficio di altre aggregazioni. Ma questa è una storia che conosciamo bene. Tornando invece a Succession, la storia che racconta, ambientata a New York, è quella della famiglia Roy, guidata dal patriarca ottantenne Logan (il rammentato Brian Cox), che nel giorno del suo ottantesimo compleanno, a seguito di un malore, finisce in coma all'ospedale in terapia intensiva. Da quel momento, tra i quattro figli (tre maschi e una femmina) accorsi al capezzale, si scatena la lotta per la successione, ignari che il colosso di famiglia, la “Waystar Royco”, navighi in acque tutt'altro che tranquille. Intanto il finale del secondo episodio (ogni volta ne vanno in onda due dei dieci previsti) rimette tutto in discussione: il vecchio Logan riapre improvvisamente gli occhi. Sopravviverà? L'espediente costringe ad aspettare la prossima puntata. Per il momento cinismo e sarcasmo sono gli ingredienti principali di una serie spietata, scritta dallo sceneggiatore inglese Jesse Armstrong, in cui non esistono eroi positivi, nessuno è perfetto, tutti hanno difetti. Gli attori insieme ai dialoghi sono l'asse portante di una costruzione quasi teatrale dove il linguaggio è in linea con i tempi, ovvero spesso volgare.
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