“Storie maledette” cede alla morbosità
martedì 20 marzo 2018
Il magistrato Alfonso Sabella, autore del Cacciatore di mafiosi da cui è tratta la fiction di Rai 2 con Francesco Montanari, ha suggerito all'attore come inscenare nei panni del giudice Saverio Barone gli interrogatori dei malviventi: «Devi metterci l'umanità necessaria per farti dire quello che ti serve, ma dentro di te non devi dargli altrettanta dignità». Un metodo che si riscontra nelle Storie maledette di Franca Leosini, tornata su Rai 3 la domenica alle 21,25. In particolare nelle due puntate sull'omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne uccisa ad Avetrana in Puglia nel maggio del 2010, e per il quale sono state condannate all'ergastolo in via definitiva la cugina Sabrina Misseri e la zia Cosima Serrano. Le due donne, che vivono nel carcere di Taranto in cella insieme (privilegio non da poco, anche per concordare eventuali strategie difensive), sono state intervistate separatamente e poi fatte interagire in fase di montaggio intrecciando in alcuni momenti le due testimonianze (la prima delle quali è stata raccolta nella cappella del carcere con un Crocifisso che ha fatto da sfondo a molte inquadrature). L'ideatrice e conduttrice del programma, che ripercorre gli atti di processi con sentenze passate in giudicato, cerca di entrare in sintonia con il colpevole di turno attraverso una serie di escamotage linguistici per poi poter assestare il colpo al momento opportuno. Nei confronti di Sabrina Misseri, ad esempio, la Leosini ha avuto parole di incoraggiamento, anche sull'aspetto fisico. A Cosima Serrano ha persino detto di considerarla una «donna del Tremila» per le sue inaspettate aperture mentali. Una volta creato il clima di fiducia, la Leosini incalza. L'ambizione è forse quella di arrivare a una confessione di colpevolezza a fronte di un processo indiziario. Nel caso di Avetrana non ci è riuscita, anche se ci ha provato. Alla fine ha preferito chiudere con il tormento del dubbio espresso con quelle parole ricercate che per lei contano moltissimo: dice di vivere la prosa come musica, di «solfeggiare i testi». È infatti attraverso la lettura modulata dell'ormai famoso fascicolo a spirale che la conduttrice fornisce ai telespettatori le sfumature e le interpretazioni del caso. Tornare però su Avetrana è comunque un cedere alle storie morbose di più facile presa sul pubblico, condite per di più con qualche evitabile ricostruzione filmica.
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