Ieri è iniziata l’estate, fa molto caldo
e la testa comincia a essere in vacanza. Verrebbe istintivo toccare altri tasti più leggeri, ma visto che anche ZeroVirgola si prepara a sospendere le sue elucubrazioni per un paio di mesi, non possiamo non chiudere con uno degli argomenti che ci stanno più a cuore: il debito comune europeo. Il tema ci è caro perché molto meno finanziario di quanto non appaia, e – soprattutto – è uno dei pochi capaci di unire il passato e il futuro, provando a risolvere errori e zavorre che ci portiamo dietro da troppo tempo e rischiamo di trasferire ai nostri figli.
Merita parlarne perché ci sono state due novità, non irrilevanti. La prima ci porta alla carrellata di banchieri centrali organizzata dall’Osservatorio giovani editori di Andrea Ceccherini negli ultimi giorni a Milano: sarà che davanti avevano centinaia di studenti, e quindi il futuro dell’Europa, ma il presidente della Bundesbank Nagel, il presidente della Banque de France Villeroy de Galhau, il governatore della Banca d'Italia Panetta, il governatore della Banca del Portogallo Centeno e il presidente della Banca olandese Knot hanno dato sfoggio di un europeismo difficile da pensare fino a qualche anno fa. Certo allora c’era un rischio Italia gigante, un euro in bilico e soprattutto dovevamo ancora passare per il doppio choc della pandemia e della guerra. Ciononostante fa un certo e piacevole effetto ascoltare il tedesco Nagel parlare della necessità ormai irrinviabile di accelerare sull’unione bancaria e su quella dei mercati finanziari, per ridurre una frammentazione tanto, troppo costosa.
«Ora è il momento di fare e il momento di farlo», ha dichiarato Nagel. Che ha parlato delle responsabilità della politica, della necessità di negoziare fino alla morte al tavolo dei dazi, delle connessioni tra l’economia tedesca e quella italiana.
Un passo ancora e saremmo arrivati a toccare il testo del debito comune europeo, che però resta politicamente assai rilevante e quindi sconsigliato a un banchiere centrale tedesco: le premesse, però, c’erano tutte. E a queste dobbiamo aggiungere i ragionamenti – per ora di natura tecnica – che si stanno sviluppando intorno al tema, che hanno visto tra gli apripista proprio il governatore Panetta a fine maggio, nel corso delle sue considerazioni finali.
Primo punto: un BTp-Europa serve oggi più che mai, visto che ci troviamo alla vigilia – per quanto aberrante – di una stagione di spese per il riarmo e investimenti connessi senza precedenti. Ma c’è – secondo punto – un limite strutturale: è il bilancio europeo, che non ha ancora le dimensioni sufficienti a sostenere la creazione di un titolo di debito comune sufficientemente ampio e diffuso da poter “camminare sulle proprie gambe”. Di qui la terza considerazione, su cui paiono convergere economisti di calibro come il francese Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo monetario internazionale, lo spagnolo Angel Ubide, gli italiani Lorenzo Bini Smaghi e Marcello Messori: una strada per far reggere e funzionare il debito europeo è quella di offrirlo in sostituzione di quelli pubblici nazionali. I Paesi europei potrebbero finanziarsi a condizioni per lo più migliori rispetto a quelle odierne, l’Europa potrebbe contare su un titolo sufficientemente diffuso – le stime arrivano a 10-12mila miliardi – da conquistarsi uno spazio rilevante sui mercati, famiglie e imprese troverebbero un modo per finanziare l’Europa e non solo più i singoli Stati. In teoria, il soggetto gestore potenziale esiste già: è il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Che non piace a tutti, in particolare in Italia. Ma che potrebbe trovare una nuova vocazione, finalmente orientata allo sviluppo e non solo alla sinistra prevenzione delle crisi.
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