Spegnere chi dissente La mossa errata di Twitter
venerdì 10 gennaio 2020
L'abbiamo capito da tempo: ci sono quelli che usano i social per fomentare polemiche e liti, e che facendolo hanno raccolto un buon numero di fan digitali. Il livello di scontro, però, ormai ha raggiunto livelli preoccupanti. Al punto che tutti, almeno una volta negli ultimi mesi, abbiamo sognato di avere a disposizione un comando o un'app in grado di silenziare l'odio e l'aggressività altrui. Badate bene: quella altrui. Perché se è vero – come ha sottolineato uno studio di ComScore – che le persone condividono sui social sempre meno post con notizie sensibili perché «temono polemiche e aggressioni verbali», è altrettanto vero che a stufarci sono quasi sempre le polemiche e le critiche che ci colpiscono direttamente o colpiscono qualcuno che stimiamo o un'idea che sosteniamo. Se invece sono rivolte a «un nemico», a «un concorrente» e più banalmente a qualcuno di cui ci interessa poco, improvvisamente non ci danno più così tanto fastidio. Sarà anche vero che, come sostengono gli esperti, «i social sono conversazioni», ma in giro sembra esserci una gran voglia di dialoghi a senso unico. Cioè, tra persone che la pensano allo stesso modo in un trionfo di «mi piace», «bravo», «hai ragione».
Non è un caso, quindi, che Twitter stia pensando di modificare il modo col quale dialoghiamo sulla sua piattaforma, dando a ognuno il potere di nascondere le risposte che non gli piacciono. Non solo. Dopo ogni tweet avremo la possibilità di selezionare chi potrà commentarlo, mentre finora chiunque può farlo (a parte gli utenti da noi bloccati in precedenza). A disposizione avremo quattro opzioni: accettare commenti da chiunque; accettarli solo da chi segue il nostro profilo; accogliere solo contributi di persone appartenenti a specifici gruppi; non accettare alcun commento.
Un bel passo in avanti. Ma aspettate a gioire troppo. Quella che a prima vista sembra una funzione in grado di smorzare l'odio online, togliendo visibilità e voci a chi grida offese, può essere usata anche per farci compiere un deciso passo indietro. Come ha sottolineato TechCruch, con questo sistema infatti un politico potrebbe rendere tutti i suoi tweet commentabili solo dai sostenitori, togliendo così voce ai critici ma anche a chi verifica la correttezza delle sue dichiarazioni e a chi è in disaccordo, democratico e civile, con le sue idee e le sue parole. Si spegnerebbe così qualunque forma di dialogo, creando un'enorme bolla dove esiste solo il consenso. A tutto vantaggio anche di quelli che pubblicano bugie e disinformazione che così non avrebbero nessuno a sbugiardarli direttamente.
Insomma, siamo alle solite. I giganti del digitale invece di mettere regole serie e di farle rispettare, riducendo il più possibile odio e offese online e spingendo le persone a sforzarsi per creare dialoghi civili, organizzano sistemi che possono essere usati anche per spegnere qualunque voce contraria.
Ciò che invece va spento, al più presto e con forza, sono le persone che inneggiano all'odio. E che lo fanno in modi e forme che pochi di noi immaginavano fino a poco fa. Il giornale The Times of Israel ha denunciato la presenza su Spotify, cioè sulla piattaforma musicale più diffusa nel mondo, di profili e playlist (le liste di canzoni create dagli utenti) che inneggiano a Hitler e all'Olocausto. I titoli sono raccapriccianti: «gassa gli ebrei», «brucia gli ebrei» e via delirando fino a «l'olocausto era solo un gioco a nascondino». Secondo The Times of Israel, «oltre 110 profili sono registrati su Spotify a nome Adolf Hitler». In realtà, mentre scriviamo, visibili dall'Italia ne risultano pochissimi e alcuni hanno zero follower. Ma il problema c'è e resta. Anche se Spotify ha affermato di impegnarsi continuamente per verificare e rimuovere contenuti di odio. Forse, visti i risultati, dovrebbe farlo meglio, magari senza aspettare le denunce di giornali o del dipartimento tedesco dei media.
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