
Ci siamo imbattuti più di una volta nel legame che l’Antico Testamento stabilisce tra la pratica della Legge di Dio e la felicità, tra giustizia personale e beatitudine, poiché i comandamenti ci invitano a realizzare quello che ci farà bene, quel che è buono per noi. Tuttavia, Gesù non dice “beati i giusti!” ma: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Bisogna dire che Gesù ne ha visti abbastanza di farisei, di giusti professionisti, tronfi della loro propria giustizia, soddisfatti di sé, incapaci di chiedere qualcosa. Li conosce troppo bene per farsi prendere nella trappola di una religione che non supplica, che non attende tutto da Dio: pregare è sempre riconoscere che abbiamo bisogno di Lui; tutto il resto sono smancerie – pie smancerie, certo, ma sempre smancerie. La giustizia è come il resto: per cercarla, bisogna per prima cosa riconoscere che non la possediamo. Per diventare giusti bisogna essere consci che siamo ancora lontani dall’esserlo: solo allora possiamo desiderarlo, di un desiderio profondo, vitale, come la sete e la fame. Un desiderio che non è una fantasia intellettuale, un piccolo supplemento d’anima per una vita già a posto, ma una questione di vita o di morte. Perché è proprio questo desiderio che, ben più dei nostri presunti meriti, avrà la forza di elevarci, a poco a poco, fino a Dio.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: