Sabika, uccisa a scuola. Ma i suoi sogni vivono
giovedì 15 ottobre 2020

Sabika Sheikh aveva 17 anni, una cascata di capelli scuri, il volto rotondo da adolescente felice e tanti sogni da realizzare. Era partita il 21 agosto 2017 da Karachi, in Pakistan, destinazione Santa Fe, area metropolitana di Houston, Texas, come exchange student, grazie a un programma di scambio scolastico sponsorizzato dal Dipartimento di Stato americano. Test dopo test, esame dopo esame, era stata selezionata con altri 75 ragazzi tra oltre 3.000 candidati. «Voglio conoscere il modo di vivere e la cultura americana e voglio che loro conoscano la mia», aveva detto ai genitori e ai suoi fratelli minori. Dopo nove mesi, era già tempo di tornare a casa con il suo bagaglio di esperienze e di progetti. Ma la vita di Sabika si è fermata un attimo prima: il 18 maggio 2018 un compagno di classe armato fino ai denti entrò nell'aula di arte e crivellò l'armadio in cui si era nascosta. Insieme alla studentessa pachistana piena di sogni morirono altri 7 alunni e 2 docenti, in uno dei frequenti eccidi che insanguinano le scuole americane.

La famiglia di Sabika non ha ceduto all'odio e alla disperazione: tutti insieme, la madre Farah Naz, il padre Abdul Aziz Sheikh, le due sorelle Sania e Soha e il fratello Ali (rispettivamente 16, 12 e 14 anni), nel luglio 2019, un anno dopo la strage, hanno visitato la scuola di Santa Fe e la moschea in cui fu celebrato il funerale della figlia, hanno raccolto come tesori preziosi i ricordi che di lei conservano gli amici americani e la famiglia che la ospitò.

E poi qualche settimana fa hanno deciso: la memoria di Sabika vivrà in una fondazione che pagherà a studentesse e studenti pachistani meritevoli le rette per frequentare college e università. La Sabika Foundation for peace ha ricevuto in questi mesi finanziamenti da parte di diverse organizzazioni non profit amiericane, tra le quali la Everytown for Gun Safety Support Fund, impegnata a contrastare la diffusione della armi, e da alcuni enti per l'istruzione internazionale.

Sabika in una immagine dal suo profilo Facebook

Sabika in una immagine dal suo profilo Facebook - .


«Credo che mia sorella abbia vissuto i migliori giorni della sua vita negli Stati Uniti. Lei voleva impegnarsi per migliorare il mondo, in particolare per le donne e i loro diritti – racconta ad Avvenire la 16enne Sania Aziz Sheikh, in una conversazione via mail dalla sua casa di Karachi –. Ho promesso a me stessa di lavorare per portare avanti l'eredità di Sabika. I suoi piani e i suoi obiettivi ora sono i miei. Voglio raggiungere tutto ciò che lei desiderava e rendere i miei genitori orgogliosi. Sabika era molto patriottica, e una volta tornata in Pakistan, avrebbe voleva mettersi al servizio del nostro Paese. Ecco, con la Fondazione vogliamo offrire opportunità a tutti coloro che lo meritano. Ci sono molti ragazzi brillanti e promettenti che non proseguono gli studi perché non possono permetterselo. Questi giovani possono fare la differenza nel mondo e lavorare per una società migliore. Noi vogliamo dare loro una chance».
Il primo atto della Fondazione sarà attribuire, nelle prossime settimane, oltre 20 borse di studio ad altrettanti studenti e studentesse, che abbiano tra gli altri requisiti una spinta a un forte impegno sociale e civico.
Perché chiamarla Fondazione per la pace? «È semplice: la pace deve essere l'obiettivo di ogni persona al mondo – risponde la giovane Sania –. La Fondazione è nata per aiutare persone in stato di bisogno, per renderle felici e questo è ciò che crea una società pacifica. Il nostro focus sull'istruzione è legato a ciò che è accaduto a mia sorella: se i giovani ricevono la giusta educazione e hanno buone opportunità, la società diventa meno violenta».

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