domenica 14 novembre 2021
Nella vita frenetica cui siamo abituati (e della quale tutti, chi più chi meno, ci lamentiamo) non abbiamo avuto spesso modo di riflettere sul nostro uso del tempo, né sul fatto che il nostro è ormai un tempo individuale e frammentato; anche nella vita di famiglia cerchiamo con affanno di far quadrare i tempi soggettivi, che si giustappongono senza riuscire ad armonizzarsi: ciascuno ha il “suo” tempo, che incrocia quello degli altri rischiando di non incontrarli mai. Abbiamo perso la dimensione collettiva del tempo, ma per ora ci limitiamo a invocare la possibilità di avere più “tempo libero”: un tempo individuale per esigenze individuali.
Ma oggi, in modo imprevedibile, un virus ci ha messo di fronte a un cambiamento drastico nella libertà di usare lo spazio e di organizzare il tempo. La sospensione del tempo e la restrizione obbligata dello spazio avevano finora riguardato solo l'esperienza di persone singole o di piccoli gruppi sociali: i carcerati, per esempio, o i malati, o ancora le persone che si confrontano con la perdita del lavoro o con l'arrivo della pensione. Per tutti loro il tempo e lo spazio si modificano, così come le priorità: malattia, carcere, perdita del lavoro, pensionamento collocano la persona in una situazione di marginalità rispetto al flusso del mondo, alla sua corsa, al suo frastuono. Una marginalità che appare comunque sempre come una condizione personale: patologica (come nella malattia, nella perdita del lavoro, nella carcerazione) o fisiologica (come nel pensionamento), ma sempre e comunque personale; qualcosa che si sperimenta individualmente e spesso in solitudine, confrontandosi solo con chi si ha più vicino, o al più con chi vive la stessa situazione. Oggi invece la questione riguarda tutti noi insieme: per tutti lo spazio si è ristretto alle mura della propria casa, per tutti il tempo si è dilatato in una strana sospensione, e abbiamo perso la certezza delle nostre priorità. Questa situazione imprevista ha fatto emergere il non-senso di un correre sempre affannato. Abbiamo iniziato a percepire che scandire la vita solo sul tempo individuale non comporta libertà ma caos: che abbiamo bisogno di un ritmo e di un ordine non solo personali, ma anche sociali. Abbiamo avvertito la necessità di un tempo che non segua solo logiche di efficienza e produttività, e che l'obiettivo non può essere quello di diventare sempre più veloci. Abbiamo intuito che la scansione ritmica del tempo ha una sua saggezza: giorno e notte, lavoro e riposo , impegno e vacanza, in collegamento con la vita degli altri. La mancanza di un ritmo coordinato con gli altri ci affatica e ci confonde: proprio come una serie di note musicali, anche la nostra attività senza un ritmo si trasforma in rumore, creando inquietudine e disagio. Si tratta di un'inquietudine preziosa, che ci dà l'occasione per riflettere sul nostro modo di vivere: servono pensieri nuovi per fare fronte a una situazione nuova. Forse anche per questo la ripresa non è facile: qualcosa è cambiato, e il tempo non può riprendere a scorrere come se nulla fosse successo. Sentiamo il bisogno di dare alla vita un flusso più sensato, più ordinato, più legato ai ritmi vitali. Abbiamo bisogno di superare l'affanno e l'isolamento, di trovare nuove sinergie e punti di coesione: è necessario tornare a credere nella possibilità di essere una comunità, capace di muoversi insieme verso obiettivo di senso.
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