venerdì 27 dicembre 2002
La verità non è una pietra preziosa che si può mettere in tasca, bensì un mare sconfinato in cui si cade dentro e ci si immerge. Oggi è la festa di san Giovanni evangelista e sappiamo che nel suo Vangelo la verità ha un peso particolare. Anzi, lo stesso vocabolo ha un'accezione del tutto originale perché è destinato a indicare la rivelazione di Cristo, la sua parola di luce e di libertà. Sulla scia di questo tema sono ricorso a un'opera "laica", importante per capire il significato profondo della storia che abbiamo lasciato alle spalle col Novecento e della costante storia dell'umanità. La frase sopra citata è, infatti, desunta dal romanzo fluviale (e incompiuto) di Robert Musil, L'uomo senza qualità (1930-33). La verità, dunque, è comparata non tanto a una fredda pietra preziosa che uno acquista e custodisce in uno scrigno come una proprietà privata sul cui uso si può decidere in modo assoluto. Essa, invece, è vista come un mare che ci supera, ci precede e ci travalica: noi dobbiamo solo immergerci per esserne bagnati e avvolti, ma noi non la possediamo, bensì ci è donata. In questo senso la verità esige umiltà e accoglienza, è una rivelazione e una grazia. Ci ritroviamo, così, nell'ambito del pensiero di Giovanni; ci rivolgiamo, allora, a Dio perché ci immerga in questo mare di luce del quale non si intravedono le sponde. Col salmista potremo parafrasare una sua invocazione: «È in te, Signore, la sorgente della verità: alla tua luce vediamo la luce» (36, 10).
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