Padroni di idee e atti anche nello Sport
mercoledì 30 giugno 2021
Sarebbe stucchevole continuare l'allucinante dibattito nato intorno alla scelta di partecipare o meno, con una decisione collettiva, al simbolico inginocchiarsi dei calciatori azzurri. Da un punto di vista della comunicazione, in uno slalom fra notizie vere, fake news, grotteschi scivoloni e lapsus agghiaccianti, abbiamo ormai visto il peggio possibile.
Il punto più basso è arrivato con la dichiarazione di uno dei "senatori" della nostra squadra che, di fronte alle telecamere, sosteneva che la nostra nazionale avrebbe «per rispetto alla squadra avversaria» replicato la loro decisione. Tutti in piedi? Noi in piedi. Tutti in ginocchio? Noi in ginocchio. Per quanto confusi e felici, visto il momento positivo della squadra reduce da quattro vittorie nella manifestazione, penso sinceramente che i nostri calciatori siano meglio di così. E senza dubbio sono lì a testimoniarlo tante iniziative fatte in passato contro il razzismo, per la parità di genere e così via.
Quale cortocircuito è scattato dunque in questa occasione? Perché questa situazione che riguarda una squadra che, per definizione, dovrebbe essere di tutti ha polarizzato in questo modo opinioni, pareri, sentimenti? Per ignavia? Per confusione? Perché nessuno ha voluto gestire in prima persona la vicenda? Per ingerenze politiche? Perché non ci si era preparati all'eventualità? Non conosco nessuna risposta a queste domande, ma so che siamo di fronte a un'enorme occasione persa. La nota ufficiale della Federazione Gioco Calcio di lunedì sera (quella vera, perché ne era circolata una versione falsa commentata da mezza Italia e che ha contribuito a generare ulteriore confusione) ora dice che gli atleti avranno libertà di scelta.
Bene, chiudiamola qui: con la libertà di scelta, aggiungo, individuale. Ci sarebbe piaciuta una presa di posizione collettiva, ma evidentemente non è possibile. E allora magari la "squadra" vincerà l'Europeo, ma in questo contesto ha perso o, meglio, non è riuscita a manifestarsi. Si permetta allora ai nostri calciatori di esprimersi individualmente e ai tifosi di sapere qualcosa in più di loro, del loro schierarsi, della loro volontà di rispettare non solo gli avversari (vale sempre) ma anche il significato di un gesto che non appartiene in esclusiva a Colin Kaepernick (atleta della Nfl cui è attribuita la paternità di questa simbolica protesta e che l'allora presidente degli Usa, Donald Trump, offese pubblicamente), ma anche al reverendo Martin Luther King. Fu lui, infatti, il 1° febbraio 1965, di fronte al Tribunale della Contea di Dallas in Alabama, a mettere un ginocchio a terra per guidare una preghiera insieme a molti altri manifestanti per i diritti civili.
Forse l'azione individuale spingerà verso qualche riflessione più matura anche sul fatto di come sia stato possibile far passare un gesto anti-razzista in un'azione partitica. Dovrebbe essere, anzi è, un semplice gesto di civiltà. Speriamo di non assistere alla pantomima della replica del gesto altrui, dall'esprimere solidarietà a chi esprime solidarietà, come se fosse applicabile la proprietà transitiva. È bello, nello sport, nell'arte, nella scienza, nella politica, essere padroni delle proprie idee. È un segno di personalità che serve, eccome, anche a fare più gol.
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