Olio d'oliva: produzione a due facce in Europa
domenica 27 ottobre 2019
Produzione di olio fra alti e bassi quest'anno in Europa. È il segno di quanto sia imprevedibile l'andamento del comparto e di quanto, fra l'altro, i produttori debbano fare attenzione agli effetti combinati della biologia e del clima.
Per capire come vanno le cose nell'olivicoltura del vecchio Continente, basta scorrere le ultime previsioni rese note a Bruxelles. Stando all'analisi effettuata dal Centro Studi di Confagricoltura, per esempio, i numeri indicano da un lato un calo generale del 9% della produzione di olio d'oliva, ma, dall'altro, un balzo in avanti del 30% registrato in Spagna e un raddoppio della produzione per quanto riguarda l'Italia. Incrementi produttivi anche in Portogallo (+39%) e Grecia (+62%). Una situazione che ha evidentemente ripercussioni sul livello dei prezzi. I livelli altissimi delle scorte europee, con 850 mila tonnellate, hanno infatti già fatto abbassare i prezzi: una situazione che ovviamente preoccupa, e non poco, i produttori.
Anche se, per quanto riguarda l'Italia, il maggior prodotto di quest'anno arriva in mercati che escono da una forte crisi per mancanza di prodotto. L'anno scorso, infatti, la produzione era arrivata ai minimi storici del decennio ed anche ora è lontana dalle 540mila tonnellate del 2008. Detto in altro modo, la media produttiva degli ultimi quattro anni, confrontata con il quadriennio 2008-2011, mostra comunque una diminuzione di oltre il 37% e, in relazione al quadriennio 2012-2015, del 28%.
Insomma, fra poche settimane ci sarà davvero più olio, ma probabilmente non a sufficienza – per l'Italia –, da compensare le perdite degli anni scorsi e, per alcune aree come il Salento, gli effetti deleteri di condizioni particolari come quelle dovuto alla Xylella. Per il 2019, fa notare proprio Confagricoltura, il crollo della produzione di olio in provincia di Lecce si aggirerà attorno all'85%, rispetto agli anni precedenti; in quest'area le zone a oliveto sono sempre più ridimensionate e solo alcune varietà, come il leccino che sembrerebbe tollerante, fanno sì che la produzione non sia azzerata del tutto.
Nonostante tutto questo, nel 2018 l'Italia è risultata essere ancora il secondo paese esportatore al mondo, dopo Spagna e davanti a Portogallo e Grecia. In altre parole, gli spazi per crescere e fare bene ci sono ancora, e anche per i produttori italiani. Occorrono però investimenti in meccanizzazione e ricerca. Condizione che non è così facile da concretizzare.
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