Nelle «Messe» di Girolamo Frescobaldi i suoni e le visioni della Roma barocca
domenica 27 settembre 2009
La Roma in cui, nei primi decenni del Seicento, si trovò a operare Girolamo Frescobaldi (1583-1643) era un centro gravitazionale intorno al quale ruotavano alcuni tra i protagonisti assoluti della storia del nostro Paese, attirati da figure illuminate come papa Urbano VIII (Maffeo Barberini), sotto il cui pontificato le arti godettero di un periodo di splendore senza precedenti che si rifletteva nelle «accademie» e negli appartamenti privati dei cardinali (gli stessi che promuovevano il talento di maestri come Bernini, Borromini, Pietro da Cortona o Caravaggio), dove l'élite romana dell'epoca si riuniva per appagare i sensi e contemporaneamente elevare lo spirito.
L'arte era diventata pura vertigine, e il suo medium " architetto, pittore, scultore o musico che fosse " era chiamato a celebrarne le vette più elevate; il modo di "vedere" il mondo coincideva con quello di "ascoltarlo", e le prospettive ardite, gli scorci mozzafiato, le illusioni ottiche che guidavano le discipline figurative si traducevano dal punto di vista sonoro in armonie avide di spazio e di effetti stupefacenti.
In tale contesto Frescobaldi si impose innanzitutto come un impareggiabile virtuoso della tastiera, da qualcuno ritenuto il primo vero iniziatore della musica strumentale; nato e cresciuto professionalmente a Ferrara, sotto le ombre lunghe della grandezza rinascimentale estense, a venticinque anni divenne organista titolare della Basilica di San Pietro, ruolo che mantenne fino al giorno della sua morte. Le sue rare incursioni in ambito liturgico hanno però lasciato segni profondi, come testimoniano le Messe «sopra l'aria della Monica» e «sopra l'aria di Fiorenza» registrate dal gruppo corale della Stagione Armonica diretto da Sergio Balestracci (cd pubblicato da Brilliant e distribuito da Jupiter). Pagine dove l'austera purezza palestriniana, pur saldamente radicata nei principi controriformistici, non disdegna l'ardore quasi spregiudicato della lezione monteverdiana e il senso architettonico visionario dell'età barocca; caratteri principali che impreziosiscono un'interpretazione i cui punti di forza sono la pura bellezza del canto e il gusto della parola come suono che apre al mistero e che spinge verso l'alto le polifonie sacre di Frescobaldi.
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