Nella «Messa» di Luigi Cherubini l'afflato spirituale del maestro Muti
domenica 14 ottobre 2007
Tra l'arte sacra di Luigi Cherubini (1760-1842) e il percorso interpretativo di Riccardo Muti si è instaurato un rapporto intenso e quasi esclusivo, che si spinge ben oltre la semplice affinità elettiva e che ha dato vita nel tempo a una serie di esecuzioni di successo e incisioni discografiche di riferimento. Parlando della particolare sintonia che lo lega al compositore fiorentino, Muti ha avuto modo di affermare: «Con lui si ha spesso la sensazione che gli elementi delle cose terrene svaniscano, che ci sia un'anima in volo verso altri mondi, al di fuori di noi».
Ed è con la consueta e proverbiale profondità d'indagine e di pensiero che il direttore italiano ha aggiunto un nuovo, fondamentale tassello all'imponente mosaico che immortala la traiettoria creativa cherubiniana; e lo fa dopo aver via via mirabilmente passato in rassegna tutti i più importanti capolavori di carattere religioso composti dal Maestro toscano, a partire dai due celebri Requiem per arrivare alle sorprendenti composizioni liturgiche.
L'assiduo e illuminante lavoro di studio e frequentazione, recupero e valorizzazione dell'opera del compositore fiorentino approda così alla Messa solenne in mi maggiore, scritta nel 1818, quando Cherubini ricopriva il ruolo di maestro di cappella presso la corte del sovrano Luigi XVIII, "Re di Francia e Navarra" in piena epoca di Restaurazione (cd pubblicato e distribuito da Emi Classics). Affiancato da un quartetto di eccellenti cantanti solisti (il soprano Ruth Ziesak, il mezzosoprano Marianna Pizzolato, il tenore Herbert Lippert e il basso Ildar Abdrazakov), ma sostenuto soprattutto dall'impeccabile e trascinante prova dell'Orchestra Sinfonica e del Coro della Radio Bavarese, di questa complessa partitura Muti offre una lettura limpida e ispirata, tutta tesa a magnificarne le tensioni ideali e gli slanci spirituali, le maestose architetture e le ardite linee melodiche, l'austera disciplina contrappuntistica e la plastica impronta classicistica, la potente tragicità espressiva e il sognante afflato mistico; in piena armonia con l'alta ispirazione delle grandiose opere sacre della maturità cherubiniana, in cui lo stesso Beethoven, colmo di ammirazione, affermava di riuscire a sentire «il canto degli angeli».
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