giovedì 14 agosto 2008
XX domenica del Tempo
Ordinario - Anno A

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore " disse la donna ", eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

Pochi personaggi del Vangelo sono simpatici come questa donna, una madre straniera che non si arrende ai silenzi di Gesù, ma intuisce sotto il suo rifiuto l'impazienza di dire sì.
Una madre pagana, che non conosce Jahvé, che adora Baal e Astarte, è dichiarata «donna di grande fede». E non per la perseveranza nel gridare il suo dolore, quanto perché, con il suo cuore di madre, sente Dio più attento alla felicità che alla fedeltà dei suoi figli. Crede in un Dio che considera la salute di una ragazza pagana più importante che non il culto dei leviti e le formule della fede. Crede che la gloria di Dio è l'uomo vivente, la creatura guarita, una ragazza felice, una madre abbracciata alla carne della sua carne, finalmente risanata.
Questa donna non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro e sa che la sua legge suprema è che l'uomo viva, sa che Dio dimentica i propri diritti per i diritti dell'uomo che soffre.
«Grande è la tua fede!». Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio. E lo sanno dal di dentro. Non conoscono il nome di Jahvé, ma ne conoscono il cuore. Sanno che se un figlio soffre, per questa semplice, nuda ragione Dio si fa vicino e appartiene al loro dolore.
Una frase dà la svolta al dialogo: i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole dei bambini. Dice quella donna: non puoi fare delle briciole di miracolo, briciole di segni, per questi cani di pagani? In questo presente di fame e di festa, di vacanze e di miseria, una fiumana di madri cananee implorano ancora briciole per i loro cuccioli, le implorano da noi, discepoli del nazareno: fate dei segni, dei piccolissimi segni, almeno delle briciole di miracolo, per noi, i cagnolini della terra. Allora si delinea il Regno, la terra come Dio la sogna: una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli in attesa. Questa immagine si è fatta strada verso il cuore di Gesù e può farsi strada verso il nostro. Affinché nessuno sia senza pane, e i cuccioli siano trasformati in figli. La pietà di Dio ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prendere tutti gli esclusi da sotto la tavola, a metterli tra i figli, anzi sopra il candeliere, perché anch'essi hanno occhi di luce, perché ci sia più luce sulla mensa e sul futuro del mondo.
(Letture: Isaia 56,1.6-7; Salmo 66; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28)
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