Nell'enciclica una parola seria da condividere nella Rete ecclesiale
venerdì 19 giugno 2015
Non si creda che mi sono montato la testa, a motivo di questa rubrica e di altre recenti, felici novità nella mia vita professionale. Ma non vedevo l'ora che terminasse l'embargo per sottolineare che c'è un paragrafo dell'enciclica Laudato si', il 47, che parla anche a noi. A noi di WikiChiesa: ai “gestori di contenuti” dei siti e blog che seguo, agli utenti loro e dei social network che vi interagiscono, ai lettori tradizionali che si lasciano accompagnare da questa rubrica in territori altrimenti poco frequentati.E sono parole da non prendere sottogamba: “Quando divengono onnipresenti”, dice Papa Francesco, i media e il mondo digitale “non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità”. Quello che preoccupa il Papa è la qualità e lo spessore delle nostre relazioni: che certo le reti sociali possono aiutare, purché utilizzate per sostenere, e non per impedire, “il contatto diretto con l'angoscia, con il tremore, con la gioia dell'altro e con la complessità della sua esperienza personale”. Il prezzo da pagare, altrimenti, è pesante: non solo “la sapienza soffocata dal rumore dispersivo dell'informazione”, ma anche “selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio”, così da generare “un nuovo tipo di emozioni artificiali” che poco hanno a che fare “con le persone e la natura”.Tradotto in quanto di relazioni intraecclesiali, e quindi a ben vedere di unione fraterna, di comunione, riusciamo a far passare dalla Rete, e in particolare dalla Rete che parla e informa de Ecclesia, mi pare che Francesco si aspetti da noi un gran lavoro. Non starò a fare esempi, a cercare pagliuzze negli occhi (nelle videocamere) altrui, col rischio di non vedere le travi che si intraversano sugli schermi del mio pc e del mio smartphone. Mi basterà non alimentare la crescita, anche nella Chiesa, di “una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni impersonali”, o di “un dannoso isolamento”.
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