Musica e liturgia, l'incontro possibile nella lezione di John MacMillan
domenica 13 maggio 2012
Insieme con l'estone Arvo Pärt, lo scozzese James MacMillan (classe 1959) è sicuramente il compositore contemporaneo che più di ogni altro ha indissolubilmente marchiato a fuoco la propria traiettoria creativa con un incessante cammino di ricerca spirituale; aveva solo diciassette anni quando ha scritto la sua Missa Brevis e da allora non ha mai allentato lo stretto legame che lo avvicina alla musica sacra, riuscendo a coniugare in modo estremamente efficace e originale l'eredità del passato con le spinte verso la modernità.Il progetto discografico intitolato Who are these Angels? è un omaggio all'arte e al repertorio più rigorosamente liturgico di MacMillan; sotto la guida di Alan Tavener, ne sono protagonisti i cantanti e i musicisti dell'ensemble Cappella Nova, che da tempo seguono con particolare attenzione la produzione corale dell'artista (cd pubblicato da Linn e distribuito da Sound and Music).Tra anthems, inni e antifone, la prima parte del disco è incentrata su una miscellanea di brani di diversa origine e destinazione – la maggior parte dei quali appartiene al secondo ciclo degli Strathclyde Motets – destinati ad accompagnare i momenti di meditazione e raccoglimento durante la Santa Messa (come il pacificante O Radiant Dawn, il sinuoso Canticle of Zacharias o il "madrigalistico" Pascha nostrum), in cui lo stesso autore individua il nucleo germinale del suo pensiero estetico e religioso: «Sono spinto a scrivere musica in primo luogo dal testo che ho di fronte e dal messaggio teologico che gli sta dietro; lontana da uno sterile esercizio stilistico, la mia ispirazione è profondamente radicata nella tradizione, viene dalle Sacre Scritture e dal desiderio di interpretarle».Completa il programma la prima incisione assoluta della Messa per il beato John Henry Newman, che MacMillan ha tenuto a battesimo a Glasgow nel 2010 davanti a papa Benedetto XVI e che rappresenta il manifesto del linguaggio compositivo del maestro scozzese: semplice e diretto senza mai essere ovvio o prevedibile, profondo e impegnato ma mai incomprensibile o cerebrale, sempre spinto da quell'intima necessità di dare forma e spessore musicale al mistero che tutto avvolge, perché «ogni nota è come una finestra aperta nella mente di Dio».
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