Mulu, l'infermiera che «ripara» le donne
giovedì 3 febbraio 2022

La voce arriva a tratti nitida, più spesso spezzata. La giovane donna parla via telefono con Avvenire da Makallè, capoluogo della regione etiope del Tigrai ed epicentro di una guerra tra le più efferate e silenziate dell'ultimo ventennio. Mulu Mefsin è una infermiera di 35 anni, il suo è il primo volto che le donne, le bambine, le ragazze stuprate vedono quando, ridotte a pezzi, arrivano all'ospedale. Le accoglie al centro ginecologico One Stop con gentilezza e partecipazione e ogni volta è una ferita che le si riapre nella carne.

Mulu Mefsin

Mulu Mefsin - .

«Anch'io sono una sopravvissuta, anch'io, dopo 20 anni, accuso ancora il trauma della stessa violenza», spiega. Dal novembre 2020, quando sono iniziati i combattimenti, ha ascoltato e visitato oltre 800 donne e ora è tutto chiaro: lo stupro di gruppo è un'arma in mano alla soldataglia. Nella guerra civile che oppone da una parte l'esercito regolare etiope e i suoi alleati, miliziani provenienti da regioni limitrofe e anche della vicina Eritrea, e dall'altra il Fronte per la liberazione del popolo tigrino (Tplf), alleato trentennale e ora nemico giurato a causa del mancato rispetto da parte del governo degli accordi per una moderata indipendenza della regione, in mezzo ci sono loro: le donne, le ragazze e le bambine tigrine.

«Arrivano lacerate nel fisico e nella mente, violentate senza pietà da decine di uomini in divisa che le tengono prigioniere per giorni e poi le lasciano andare, in modo che raccontino cosa hanno subìto e terrorizzino la popolazione. Le feriscono per renderle sterili», continua Mulu Mefsin. Il suo non è un semplice racconto, ma insieme un disperato appello all'Occidente perché non resti indifferente alla sofferenza di tante creature innocenti, che Avvenire continua regolarmente a documentare sulle pagine di Esteri (qui tutti gli articoli sulla guerra in Tigrai).

«Ho visitato bambine di 4 anni e nonne di 90. Hanno oltraggiato anche le suore di un monastero». Mulu è stata inserita nella lista delle 100 donne più rappresentative nel 2021 della Bbc. «È stata una sorpresa», ammette, ma nessun riconoscimento può distoglierla dall'oceano di sofferenza che incontra. E che è solo una minima parte di ciò che sta accadendo in Tigrai: l'Onu e Amnesty International sfornano periodicamente report agghiaccianti sulle violazioni dei diritti umani, sulla fame che attanaglia la popolazione perché il governo etiope non lascia passare gli aiuti.

Nel suo ospedale, racconta Mulu, manca tutto: medicine, attrezzature, anestetici, perfino il cibo viene razziato. «Le pazienti arrivano con danni severi all'apparato riproduttivo, emorragie, contagiate dall'Hiv e con enormi sofferenze psichiche. E sappiamo che per ogni donna che viene soccorsa, 20 o 30 non hanno potuto ottenere cure». La giovane infermiera, lei stessa emaciata e dimagrita, non riesce a dimenticare Rozina, una donna violentata da 14 soldati in presenza del figlio adolescente, poi ucciso davanti a lei. «Dopo due settimane in ospedale l'abbiamo portata in un nostro rifugio e infine è tornata nel suo villaggio. Ma non migliorava, continuava a piangere e ripetere: mio figlio, mio figlio. Infine si è tolta la vita». Alla fine della conversazione Mulu chiede ad Avvenire di non dimenticare Rozina, lei stessa e le donne che si affidano alle sue cure. Di dire al mondo: fermate questo orrore.
(ha collaborato Paolo Lambruschi)

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