
Ci sono fotografie che raccontano il presente, ma anche il passato e il futuro. Quando Anna Politkovskaja, coraggiosa, lucidissima giornalista russa, venne uccisa nell’androne del palazzo di Mosca dove abitava, sua figlia Vera aveva ventisei anni e aspettava una bambina. All’inizio del libro che anni dopo Vera ha dedicato alla memoria di sua madre (da poco era esploso il conflitto con l’Ucraina, e adesso era la sua bambina nel frattempo cresciuta a venire minacciata a scuola, come nipote della eroica giornalista morta), c’è una foto di madre e figlia scattata nel 2005, un anno prima della morte di Anna Politkovskaja. Seduta a un tavolo su cui con stanchezza tiene posate le braccia conserte, lei ha occhi preoccupati – quegli occhi il cui sguardo infallibile le fa scrivere indefessa reportage e editoriali di denuncia del clima governativo criminale per cui mano morirà. Alle sue spalle, la figlia molto giovane, indosso una maglietta con la scritta «R is for Revolution» fa il gesto di cingere la sedia su cui sta la madre. Negli occhi un brillìo interdetto, nella postura il vano istinto di proteggere la madre amatissima. Quasi entrambe la tragedia la vedessero arrivare. Quasi la svolta della strada che è lì, tragicamente segnata, l’avessero davanti, chiara.
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