domenica 3 ottobre 2004
Una notte Francesco udì una voce: «Muoio». Era un frate che gemeva. Francesco gli domandò cosa avesse: «Muoio di fame». «Presto, tutti in piedi. Si prepari subito un pasto per tutti. Non bisogna che un frate muoia di fame, ma neppure che si senta imbarazzato a mangiare solo». Uno spuntino notturno austero, non c"è dubbio. Pane raffermo, rape trovate nei campi, forse delle uova" Che altro? Acqua del torrente. Allegria come «dessert»"Era la sera del 3 ottobre 1226, un sabato, e dopo aver benedetto i suoi fratelli s. Francesco spirava alla Porziuncola di Assisi. Ricordiamo anche noi questo santo caro all"intera umanità attraverso un "fioretto" desunto dalla biografia San Francesco, giullare di Dio (Rizzoli 1984) scritta da uno dei maggiori autori francesi del Novecento, Julien Green (1900-1998). La finezza della vera santità è tutta in quell"attenzione a non umiliare il frate affamato.Gli ipocriti l"avrebbero, sì, sfamato ma standosene intorno, in piedi, quasi a compassionare quell"avidità, mentre essi potevano ostentare il rigore intatto della loro disciplina interiore. Francesco, invece, fa assidere tutti a quella povera mensa perché l"amore e il rispetto dell"altro devono prevalere  su qualsiasi osservanza o pratica ascetica. Sappiamo bene che anche questo era il comportamento di Cristo, "mangione e beone" agli occhi dei suoi giudici altezzosi e puritani, pronto com"era a stare allo stesso livello dei peccatori e degli ultimi, consapevole che non è l"uomo che dev"essere schiavo della norma ma è la norma che deve essere d"aiuto all"uomo per una vita più autentica e serena. La debolezza dev"essere sostenuta e sanata, non denunciata e umiliata.
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