Lo sport di base fabbrica medaglie, difendiamolo
mercoledì 8 settembre 2021
Siamo al termine di un'estate irripetibile, o quanto meno indimenticabile, per lo sport del nostro Paese. Un'estate dove il tormentone è stato l'Inno di Mameli, un'estate dove ci siamo tornati a emozionare per un numero impressionante di successi sportivi, così tanti da non riuscire neppure a ricordarli tutti. Dalla vittoria ai Campionati Europei di calcio, a Berrettini in finale a Wimbledon; dalla nostra nazionale di pallacanestro che vince a Belgrado in casa dei vicecampioni olimpici e si qualifica per Tokyo, alle 109 (centonove, scritto anche in lettere proprio come si fa negli assegni per certificare che il numero sia vero) medaglie olimpiche e paralimpiche che qui vogliamo tenere insieme, concludendo con la recente vittoria delle ragazze del volley agli Europei (i campionati maschili sono ancora in corso, a questo punto, chissà!). Irripetibile, indimenticabile, meraviglioso.
Tuttavia, c'è un rischio enorme che vorrei scongiurare, parlandone il più possibile: quello di pensare che lo sport italiano sia in perfetta salute, abbia messo alle sue spalle due anni di pandemia e ne abbia dato dimostrazione al mondo intero. Perché il paradosso è che dietro all'estate più vincente della storia, c'è anche la situazione più drammatica della storia. Lo sport di base, le associazioni sportive, i gestori degli impianti, le palestre, le piscine continuano a essere con l'acqua alla gola e con enormi problemi che la pandemia, come uno tsunami, ha portato con sé. L'impatto di questa onda devastante non l'abbiamo certo pagato a Londra o a Tokyo, dove protagonisti sono stati atleti già strutturati, completi, formati e che non hanno smesso mai di allenarsi. L'impatto non lo pagheremo forse neppure a Parigi 2024, ma semmai a Los Angeles 2028 dove i protagonisti dovranno essere coloro che a inizio a pandemia erano dodici o tredicenni.
È per questo che occorre tenere altissima l'attenzione e aiutare a ripartire quel mondo che oggi soffre ancora esattamente come prima di quest'estate. La sfida è nell'accesso agli impianti, nelle risorse economiche, nella possibilità di continuare a proporre sport a persone con più o meno talento, abili o diversamente abili. È da questi parametri che si misurerà il quoziente di civiltà sportiva del nostro Paese, anche (e soprattutto) quando la bolla mediatica sui successi si sarà spenta e le immagini ad alto impatto emozionale si vedranno un po' di meno. Sarà lì che occorrerà sostenere la spina dorsale dello sport e della cultura del movimento che a quei tricolori, che hanno sventolato in altissimo quest'estate, continuano a guardare.
Probabilmente, come sempre succede, i successi dell'estate genereranno richieste superiori di ragazze e ragazzi che sognano di tirare o di parare un rigore decisivo, di correre i 100 metri, di saltare in alto, di nuotare o di schiacciare fortissimo una palla da volley. Dobbiamo fare in modo che fra qualche giorno quando cercheranno una società e un luogo dove farlo, non trovino i cancelli chiusi, le società liquidate, gli allenatori che hanno cambiato mestiere per poter sopravvivere. Abbiamo (ri)scoperto, in questa meravigliosa estate, quanto lo sport sia un bene essenziale. Adesso, questo bene essenziale, dobbiamo difenderlo.
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