Libero Grassi, un caso di buona televisione
mercoledì 31 agosto 2016
Una vita normale che diventa straordinaria. Quella dell'imprenditore Libero Grassi, ucciso a Palermo dalla mafia il 29 agosto 1991 per essersi ribellato alla regola del “pizzo”. Sono passati venticinque anni da quella tragica mattina di fine estate e Rai 1 l'ha ricordata lunedì sera con la docu-fiction Io sono Libero, diretta da Francesco Miccichè e Giovanni Filippetto, realizzata con ricostruzioni cinematografiche unite a immagini di repertorio e interviste che ripercorrono, con un lungo flashback che parte dal giorno dell'omicidio, gli ultimi otto mesi di vita di Grassi dal momento della pubblicazione sul “Giornale di Sicilia” della lettera al «Caro estorsore», in cui dichiara pubblicamente di non volersi sottomettere ai ricatti, fino a tornare al giorno del vigliacco e brutale assassinio sotto casa a opera del clan Madonia. La storia è raccontata attraverso gli occhi di Marco, un giovane cronista, personaggio di fantasia, forse un po' sopra le righe nella didascalica interpretazione di Alessio Vassallo. È apparso invece molto misurato e credibile il Libero Grassi di Adriano Chiaramida con la moglie Pina di Alessandra Costanza. Il mettere insieme, a volte addirittura sovrapporre la fiction al repertorio e alle testimonianze, ribadisce la veridicità della storia con una tecnica innovativa. Impressionante la descrizione dell'attività estorsiva da parte di Antonino Giuffrè, collaboratore di giustizia. Mentre la Rai incensa un po' se stessa riproponendo con una certa enfasi la partecipazione di Libero Grassi a Samarcanda di Michele Santoro, ma il suo intervento, rivisto ora, alla luce di quanto successo poco mesi dopo e di quanto successo in questo quarto di secolo, impressiona («Non pago perché sarebbe una rinunzia alla mia dignità di imprenditore») e racconta il coraggio di un uomo, Libero di nome e di fatto, il suo gesto di denunciare e di spiegare coscientemente il perché di quella ribellione di cittadino impegnato, di onesto imprenditore, di padre di famiglia, di catalizzatore di coscienze. È vero che c'è una certa politicizzazione del personaggio attraverso, soprattutto, il ribadire il suo rapporto dapprima con i radicali e poi con i repubblicani, ma alla fine la storia narrata ha un grande valore simbolico, morale, etico e politico (nel senso più alto del termine). E questa, in ogni caso, è buona televisione.
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