Le ricerche sul web e i lettori di Avvenire.it
venerdì 14 dicembre 2018
È diventata ormai una tradizione: appena prima di Natale, Google, Instagram, Twitter e compagnia bella pubblicano le classifiche dei loro «momenti top» dell'anno. Delle varie classifiche pubblicate da Google sui termini più cercati in Italia, mi hanno colpito in particolare due: «Cosa significa...» e «Perché...». Sono dedicate alle cosiddette «domande di senso», fatte dagli italiani al motore di ricerca. Secondo Google, nel 2018 gli italiani hanno chiesto al web «Cosa significa...» (in ordine di numero di richieste) «sessista», «ipovedente», «LOL» (è l'acronimo di Laugh Out Loud, sto ridendo a crepapelle, ma nel tempo ha cambiato in parte significato trasformandosi quasi in un segno di punteggiatura, una specie di «punto e basta»), «filantropo» e «scopofobia» (è la paura patologica di essere visti da altre persone). La classifica dei «perché...» vede al primo posto «perché si festeggia l'8 marzo» (senza punto interrogativo, perché quasi mai viene usato nelle ricerche), seguito da «perché i giocatori hanno un segno rosso in faccia» (era un gesto legato a una campagna contro la violenza sulle donne). Il resto della classifica comprende «perché Fedez e J-Ax hanno litigato», «perché Ilary Blasi ha la parrucca» e «perché Asia Argento non conduce più X Factor». Il bello di queste classifiche è che possono essere lette in molti modi. Possiamo usarle per archiviare gli italiani come un popolo che ama solo i pettegolezzi, come gente che non sa nemmeno perché si festeggi l'8 marzo o come un mondo che ha bisogno di capire anche molti termini che consideriamo d'uso quotidiano (come sessista o ipovedente) ma che così "quotidiani" evidentemente non sono. Mi sbaglierò, ma più mi addentro nel mondo digitale è più credo che il vero problema stia proprio qui: diamo tutti per scontate un sacco di cose, dimenticando che spesso tutti gli altri – che sono il nostro prossimo – non sanno, non leggono, non vedono o non ascoltano quello che noi sappiamo leggiamo, vediamo o ascoltiamo Per noi di Avvenire esiste una «classifica» non pubblica ancor più interessante. Riguarda quali termini cercati sui motori di ricerca hanno portato le persone a visitare il nostro sito web (www.avvenire.it). Il primo, non deve stupirvi, è «Avvenire». Tutti noi infatti quando dobbiamo andare su un sito preferiamo ormai scriverne il nome nel motore di ricerca che non l'indirizzo (www...) nella barra di navigazione. Seguono le parole «Papa Francesco», «Alfie», «Alfie Evans», «Corpus domini» e «Santo del giorno». Fin qui, penserete, nessuna sorpresa: sono tutti termini che rimandano a temi cari al mondo cattolico, compresa la dolorosa vicenda del piccolo bambino inglese affetto da una patologia neurologica degenerativa, morto lo scorso 28 aprile. Eppure, nelle parole più cercate che hanno portato le persone a visitare il sito web di Avvenire ci sono anche termini meno scontati. Si va da fatti di cronaca (come il carabiniere che lo scorso febbraio a Cisterna di Latina ha ucciso le due figlie e ha tentato di ammazzare la moglie) sino a termini come «decreto sicurezza», «migranti», «debito pubblico italiano» e «sedazione profonda». Di grandissimo impatto anche la morte della cantante dei Cranberries «Dolores o Riordan», la vicenda di «Asia Bibi», la morte di «Fabrizio Frizzi», «Mariangela Melato» (dopo una toccante intervista tv di Arbore) «votazioni americane», «nave diciotti», «Salvini legittima difesa», «utero in affitto», «gender». Moltissimi ci hanno trovati cercando termini come «Quaresima», «Avvento», «Corpus Domini», «Sinodo dei giovani», «Don Tonino Bello», «Ermes Ronchi», «Chiara Corbella», «opere di misericordia», «vizi capitali». Insomma, Avvenire si conferma anche online un giornale con un'impronta decisa e ben riconoscibile ma che sa attrarre lettori (anche digitali) inizialmente interessati a temi laici, alla cronaca, alla politica e al mondo dello spettacolo.
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