venerdì 1 aprile 2005
Se l'ironia ha uno sviluppo anormale, come quello del fegato delle oche di Strasburgo, finisce per uccidere l'individuo. La tradizione popolare, ormai scolorita, del "pesce d'aprile" ci permette una riflessione sullo scherzo, sulla burla, sulla beffa e sulla loro parente più nobile che è l'ironia. Partiamo, dunque, con la nostra citazione tratta dal Diario del filosofo danese Soeren Kierkegaard (1813-1855) che rimanda al confronto con la sorte delle oche francesi ingrassate con cibi tali da far loro scoppiare il fegato per ottenere il celebre paté de foie gras. Quando si esagera e si passa dall'ironia al sarcasmo e dal sarcasmo allo scherno scalmanato, volgare, brutale, allora si perde la lievità del gioco e si cade nella grossolanità. È ciò che ci viene offerto talora in certi spettacoli che al riso sostituiscono il ghigno, al divertimento il cattivo gusto. Si tratta di una sguaiatezza che poi si diffonde nelle stesse relazioni tra le persone, relazioni che conoscono assai più la villania che non la burla allegra. Detto questo, facciamo però un passo avanti e affidiamoci a un'altra citazione, questa volta tratta dal romanzo Vino e pane di Ignazio Silone (1900-1978): «Dato che il patetico non può essere espulso dalla vita umana, per renderlo sopportabile mi pare che sia sempre utile accompagnarlo con un po' di ironia». Come tutti i condimenti e le spezie, lo scherzo, il sorriso, il divertimento, l'allegria devono esserci per dare gusto e rendere meno insipida e noiosa la vita. Guai, però, a eccedere o a sbagliare nelle dosi.
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