mercoledì 7 aprile 2004
E'un vero peccato che impariamo le lezioni della vita solo quando non ci servono più. A chi deve condensare in poche righe una riflessione, lo scrittore inglese (nato però a Dublino nel 1854) Oscar Wilde è spesso prezioso. Si badi, ad esempio, alla frase sopra riportata: nella sua lapidarietà dice l'indispensabile e nella sua incisività rimane impressa nella memoria e, si spera, nella vita. Già questo aspetto stilistico esteriore è una lezione: contro il moralismo pedante. Chi ha detto che le prediche debbano essere sempre compassate e noiose? Certo, questo accade spesso tant'è vero che Voltaire - com'è noto - aveva buon gioco a irridere i predicatori dicendo che «l'eloquenza sacra è come la spada di Carlo Magno: lunga e piatta». E' possibile, invece, offrire un insegnamento in modo scattante ed efficace, proficuo e affascinante. Ma veniamo al merito della considerazione di Wilde. Troppo spesso, infatti, le lezioni della vita diventano convinzione e quindi guida nelle scelte da fare solo quando si sono compiuti tutti gli errori possibili e ormai si è giunti alla parabola conclusiva. Quando sarebbe stato necessario tenerne conto, trovavamo sempre una scusa per proseguire imperturbabili nella nostra ostinazione. Gli antichi Greci dicevano che «l'esperienza è l'inizio della conoscenza» oppure che «la volpe non si fa catturare due volte». In realtà, quante volte abbiamo ribattuto la testa, continuando a perseverare nell'errore! Una delle componenti classiche della confessione sacramentale è il "proposito" di non peccare. Contro questa decisione milita non solo l'ostinazione ma soprattutto la superficialità, l'incapacità appunto di riflettere e di imparare "le lezioni della vita".
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