mercoledì 20 aprile 2022
In un'ampia cantina con poca luce ci sono decine di bambini. Deve far freddo, indossano giacche a vento. Ai muri, in alto, sono appese gonfie borse di plastica: i sacchi a pelo per la notte. I ragazzini sembrano abituati alla prigione. Giocano stancamente, uno più grande porta sulle spalle un fratellino. Le madri, invece, hanno i tratti del volto tesi come corde. Una giovanissima, bionda, culla un bambino di neanche un anno, e parla a lungo. Non c'è traduzione, ma la ragazza ha la voce incrinata di chi sta per piangere. Il video su Telegram viene dal circuito della Brigata Azov. E scatta il sospetto di "fake". Maledettamente realistico, se fosse. Per chi è nascosto nei cunicoli sotto le immense acciaierie Azovstal di Mariupol l'ultimatum è scaduto. Ieri mattina i russi bombardavano a tappeto i padri combattenti. Cosa ne è di quelle madri e bambini là sotto? Sono le mogli e i figli degli uomini della Azov? Probabile. Dunque il video è "propaganda ucraina"? Mah. Vorrei esserne certa. Quei bambini invece a me sembrano l'istantanea di una tragedia. A me, quel frammento di umanità sottoterra fa tremare. E preferisco esser ingenua che cinica. Rimpiango, ammetto, i tempi in cui le guerre le raccontavano solo gli inviati, coi loro occhi. In quel rapporto essenziale che c'è fra chi scrive e chi legge, e che ancora, e meno male, resiste. Si chiama variante V, verità. Ci ricorda che la realtà può essere controversa, ma non appena virtuale.
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