La carne vale 30 miliardi e ci rende meno spreconi
domenica 26 ottobre 2014
​    Quello della trasformazione della
carne è un settore che vale miliardi
di euro e, a suo modo, fa parte del grande comparto dell’agroalimentare
nazionale. A dirlo sono state qualche giorno fa le tre associazioni che raccolgono buona parte delle imprese che si dedicano alla trasformazione della
materia prima. Assica, Assocarni e UnaItalia
(bovini, suini e avicoli), hanno infatti presentato un articolato rapporto
sui loro prodotti che arriva ad una conclusione:
la trasformazione italiana della
carne rappresenta un patrimonio, anche
per la dieta mediterranea. A conti fatti, il settore delle carni in Italia
vale 30 miliardi di euro all’anno. Una bella cifra che può essere messa vicino ai circa 180 miliardi prodotti dall’intero settore alimentare e ai 1.500 del Pil nazionale.
Un tesoro che, stando al rapporto,
viene equamente ripartito nelle tre filiere principali – avicola, bovina e suina appunto –, che si differenziano invece
in base al numero di occupati: 80.000 circa per le carni bovine, 44.000 per le carni suine e i salumi e 55.000 per le carni avicole.
Il rapporto affronta anche il tema dello spreco alimentare legato al settore delle carni, evidenziando, viene detto, «come la filiera della carne sia una delle più virtuose
dell’agroalimentare italiano e può fungere da modello produttivo, anche in vista di Expo 2015, per assicurare la sostenibilità
economica e ambientale del settore in uno scenario che prevede un aumento del 60% della domanda di proteine
». Stando ai numeri messi in fila dalla
ricerca, «il settore delle carni è quello meno soggetto al fenomeno dello spreco
sia dal lato del consumo, per il valore economico, culturale e sociale percepito
per questi alimenti da parte dei consumatori,
che da quello della produzione,
per la struttura e l’organizzazione virtuose della filiera. Per quanto riguarda ad esempio il settore primario, l’allevamento
ha un tasso di spreco dello 0,14%, rispetto al 0,31% del cerealicolo e al 4,67 dell’ortofrutticolo».
Numeri importanti e confortanti, quindi,
che devono comunque confrontarsi con altri aspetti della realtà del settore. Da Cremona, nel corso degli Stati generali
della suinicoltura, Assosuini ha reso noto che il Prosciutto crudo di Parma, una
delle prelibatezze che l’Italia manda in giro per il mondo, vende sul mercato interno mediamente ogni anno 700mila
cosce in meno. Una situazione che solo in parte è compensata dal successo
delle esportazioni e che, comunque, ha fatto chiedere ai produttori l’attivazione
di un 'piano di salvataggio' per il comparto. Tutto senza contare la conflittualità
che spesso esplode nei rapporti
fra allevatori e grandi trasformatori nazionali
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