L'umanità del Real Carletto e la standing per “sir” Claudio
sabato 7 maggio 2022
«Un giocatore lo vedi dal coraggio. Dall'altruismo e dalla fantasia». Un allenatore lo vedi dalle stesse doti, più la capacità di emozionarsi ancora, specie quando è ormai ricco e famoso. Un grande allenatore, al di là dei record (3 Champions vinte e titoli nazionali conquistati nei cinque campionati top Europei), è senza dubbio lui, Carletto Ancelotti. Spirito contadino, scarpe grosse e cervello fino, fin dalle origini: al Parma con il primo contratto comprò il trattore per la cascina di famiglia. A Roma se lo ricordano come il “pischello” timido dalle guanciotte rosse che vinse lo scudetto da pupillo del “Barone” Liedholm. Poi al Milan si è preso di tutto, scudetti, Champions e titoli mondiali per club, sia da calciatore che da allenatore. Alla “Casa Blanca”, al Real Madrid, c'è tornato da premier e non da minestrone riscaldato. E tac, da “gatto” («ha sette vite, quando pensi che è al capolinea rinasce» fonte ispanica) strappa Liga e finale di Champions. Il “Normalone” Carlo martello, re di Spagna, alla faccia dello “Specialone” di Setùbal Mourinho è in odore di “duplete”. Ma quel che piace di questo 62enne brizzolato, dai modi gentili e il maglioncino sottogiacca sempre un po' stretto – nonostante le diete a cui si sottopone, lontano dai salami di Felino – , è la sua straordinaria genuinità. Quella capacità di commuoversi all'abbraccio del figlio Davide, suo vice, al triplice fischio di Real-City 3-1. Teneri padre e figlio. Il padre dagli occhioni liquidi dell'eterno ragazzo di campagna, schietto come il Lambrusco, che non ha mai smesso di tenere i piedi ben piantati nella zolla. «Carletto “Principe della Zolla”» lo avrebbe eletto mastro Brera vedendolo pascolare felice sul prato verde del Bernabeu che, da quarant'anni in qua, (dal Mundial dell'82) vede sempre un italiano trionfare. Corsi e ricorsi storici e annesse affinità elettive tra Ancelotti e l'altro “hombre vertical” della panchina, Claudio Ranieri. L'altra sera all'Olimpico era un'anima divisa in due, l'amor patrio per la Roma e quello per il Leicester, la sua creatura inglese che nel 2016 portò alla miracolosa vittoria della Premier. L'ovazione dei tifosi del Leicester per sempre grati a “sir” Claudio e l'applauso caloroso della Sud al “sor” Ranieri lo hanno commosso, fino alle lacrime. Ranieri, il tribuno gentleman capace di conquistare anche lui il popolo italiano e inglese, ma anche di Spagna (ha guidato con successo Atletico Madrid e Valencia) e Francia (riportò il Monaco in Ligue1 con successivo 2° posto dietro al Psg). In Inghilterra l'hanno ribattezzato «Tinkernham», l'«Aggiustatore» e nonostante i 71 anni Ranieri è parso più giovanile e fresco di Mourinho (ha pianto anche lui) che gli diede del «vecchio». Teniamoceli stretti i nostri cari vecchi mister, perché hanno ancora tanto da dare, per via di quell'umanità che glie la leggi negli occhi.
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