L'energia? Costa più del cibo
sabato 16 aprile 2011
Spendiamo di più per l'energia che per il cibo. È il segno ulteriore del cambiamento dei tempi, in qualche modo anche del "progresso". Ma è un segno che deve essere valutato attentamente. Anche perché deve essere confrontato con l'andamento del comparto agricolo e agroalimentare che, nemmeno a farlo apposta, risente dell'aumento dei costi dell'energia e dell'altalena dei prezzi alla produzione.
Il dato di partenza è uno solo. La crisi del petrolio sta determinando profondi cambiamenti nel bilancio delle famiglie italiane. Stando a quanto elaborato dalla Coldiretti, la spesa per trasporti, combustibili ed energia elettrica assorbe in media ben il 19,3% del totale: più di quanto speso per gli alimenti e le bevande, la cui quota è ferma al 18,8% della spesa complessiva delle famiglie italiane. Secondo Bankitalia, d'altra parte, «l'accelerazione dei prezzi dei beni energetici e degli alimentari grava maggiormente sul potere d'acquisto delle famiglie con livelli di spesa più bassi, per le quali questi prodotti rappresentano una quota superiore al 40% dei consumi complessivi».
Il fatto è che energia e alimenti sono legati a filo doppio anche per altri motivi. Soprattutto pensando che in Italia l'86% dei trasporti commerciali avviene ancora su gomma. Il risultato? L'aumento dei carburanti pesa notevolmente sui costi della logistica e sul prezzo finale di vendita dei prodotti alimentari. Tanto che, secondo i coltivatori, l'aumento del costo dei carburanti tende a determinare un effetto valanga sulla spesa, anche per la crescente dipendenza dall'Italia per l'alimentazione dall'estero da dove arrivano prodotti che devono percorrere migliaia di chilometri prima di giungere in tavola.
E non basta. Perché la crescita dei prezzi alimentari, dovuta all'aumento dei costi di trasporto, non c'entra nulla con quanto gli agricoltori guadagnano. Tutto, poi, si inserisce nella complessa dinamica dei prezzi alla produzione. Secondo l'Ismea (che mese per mese tiene sotto controllo i mercati agroalimentari) nel mese scorso i prezzi all'origine sono cresciuti dello 0,9% ma se si confronta la situazione di 12 mesi fa, l'aumento è stato del 23,2%. Tutto bene quindi, se non fosse che il dato generale nasconde situazioni particolari estremamente diversificate. Le quotazioni delle coltivazioni in generale, quindi, in un anno sono aumentate del 35,7%, ma i prodotti più importanti hanno subito un calo. È il caso del grano duro e del grano tenero che grosso modo valgono solo circa l'80% di quanto valevano un anno fa. Tutto il contrario, invece, per l'ortofrutta e per quasi tutti i prodotti zootecnici.
La giostra dei mercati alimentari " alla produzione, poi all'ingrosso e infine al dettaglio " continua quindi ad esercitare tutto il suo potere, che in qualche modo viene accresciuto dall'andamento delle quotazioni delle materie prime energetiche. Il problema vero, però, è ancora un altro: come fare per riuscire a controbilanciare gli effetti negativi dei mercati e ad esaltare quelli positivi?
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