Joe e Luisa, umile coraggio che umilia forti e violenti
mercoledì 29 giugno 2022
Il Mondiale di calcio in Brasile del 1950 è passato alla storia per il “Maracanazo”, l'incredibile esito contro pronostico della finale fra i padroni di casa e l'Uruguay. I giornali con i titoli che celebravano la vittoria del Brasile erano già stampati, i discorsi dei politici già pronti, perfino i dirigenti dell'Uruguay avevano, prima dell'inizio della partita, chiesto alla squadra di perdere «senza subire troppe reti». Quell'1-2 per l'Uruguay fu un dramma: in Brasile venne proclamato lutto nazionale e molta gente che aveva scommesso tutti i suoi averi sulla vittoria del Brasile finì in rovina, alcuni addirittura si suicidarono.
Quell'incredibile risultato era stato preannunciato da un segnale inequivocabile, proprio il 29 giugno del 1950. Quel giorno, nel girone eliminatorio di Belo Horizonte, si incontravano la fortissima nazionale inglese e gli Stati Uniti, nazione dove il calcio era un divertimento per pochi. Le due squadre erano arrivate ai Mondiali con un percorso asimmetrico: l'Inghilterra dominando e segnando una valanga di goal, gli Usa perdendo rovinosamente tutte le partite, tranne lo spareggio contro Cuba. Insomma, di gran lunga il miglior attacco contro la peggior difesa. I bookmakers, gente che si sbaglia di rado, quotavano 500:1 la possibile vittoria degli Usa che schieravano un attaccante che in realtà americano non era. Si chiamava Joe Gaetjens, nato a Port-au-Prince, Haiti, un ragazzo trasferitosi a New York per studiare alla Columbia University grazie a una borsa di studio del Governo haitiano. Faceva il lavapiatti ad Harlem e giocava in una squadretta della poco ambiziosa “American Soccer League” per 25 dollari a match. Riuscì tuttavia a catturare le attenzioni dei selezionatori e, una settimana prima della partenza, sebbene non fosse cittadino americano (aveva dichiarato di volerlo diventare e questo, secondo le regole in vigore all'epoca era sufficiente) venne convocato per il Mondiale. Quel 29 giugno Joe fu il protagonista del «miracolo di Belo Horizonte», segnando, al 38esimo del primo tempo, un gol convalidato dall'arbitro italiano Generoso Dattilo. Nonostante l'assedio inglese all'area americana finì uno a zero. Joe quel ragazzo “adottato” calcisticamente dagli Usa venne portato in trionfo e l'Inghilterra tornò clamorosamente sconfitta a casa.
Joe Gaetjens non diventò mai cittadino americano, tornò ad Haiti, giocò perfino una partita per la qualificazione ai mondiali successivi, quelli del 1954, con la maglia della sua nazionale. Pochi anni dopo non esitò a schierarsi pubblicamente contro la folle parabola del dittatore François Duvalier. Venne arrestato, imprigionato nel penitenziario di Fort Dimanche noto per le pratiche inumane di torture e brutalità e fucilato. Il corpo dell'autore del più grande gol della storia del calcio americano non venne mai ritrovato.
Questo martirio di uno sportivo vuole essere l'omaggio di questa rubrica che si occupa di sport a Luisa Dell'Orto, piccola sorella, missionaria da vent'anni ad Haiti, uccisa pochi giorni fa a Port-au-Prince. Joe e Luisa, un uomo e una donna così diversi e così lontani nel tempo, ma capaci entrambi di segnare “gol” meravigliosamente belli che resteranno nella storia dimostrando che la forza degli umili è in grado di umiliare, per sempre, la prepotenza dei forti e persino dei violenti.
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