Il viaggio in Africa prende quota con la parabola delle zanzare
venerdì 27 novembre 2015
L'ultima rassegna stampa digitale dà risonanza anche a parole e a fatti che purtroppo non sono nuovi nella vita della Chiesa, specie quando si combinano denaro, sesso e potere. La differenza è che un tempo sarebbero emersi da qualche diario privato a distanza di anni, aiutando lo storico che ne fosse entrato in possesso a illuminare un dettaglio – niente di più – di un suo quadro, e invece oggi la comunicazione globale le pubblicizza e le amplifica, lasciando a ciascuno il difficile onere di misurarne la effettiva portata.Ma nella blogosfera che frequento i fuochi dell'attenzione sono su cose più grandi: l'eco tuttora vivo degli attentati di Parigi e i primi riflessi del viaggio di papa Francesco in Africa. Dove i titoli del “primo giorno”, e i relativi picchi di popolarità, se li sono guadagnati le “zanzare”, che il Papa ha evocato, sull'aereo, al fine di sdrammatizzare la minaccia di attentati terroristici che avrebbero per obiettivo la sua persona. Per la verità non è stata diffusa dalla Sala Stampa la versione ufficiale delle parole dette a un giornalista americano, ma solo un generico «Attenzione alle zanzare» rivolto alla fine a tutto il gruppo. Circolano così, tanto in italiano quanto nelle altre lingue, diverse versioni: da «Bisogna difendersi dalle zanzare» a «L'unica cosa che mi preoccupa sono le zanzare», anche se la più accreditata, se ho visto bene, recita: «Ho più paura delle zanzare (mosquitos, che è sia inglese sia spagnolo) che delle persone».Mentre non si può che augurarsi che davvero egli si debba guardare soprattutto dalle zanzare, non ci si può trattenere dal ragionare un po' più a fondo su questa ancora una volta efficace scelta di linguaggio di Francesco. Lo fa con acutezza Giorgio Bernardelli sul blog “Vino Nuovo” (http://tinyurl.com/qhou8yf), estendendo la metafora a tutte le paure che ci accompagnano quando ci affacciamo (poco importa se realmente o anche solo virtualmente) sul tanto mondo che non è il nostro, e all'inutilità – prima la scopriamo meglio è – dei vari “repellenti” che ci portiamo dietro.
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