Il «tutto gratis» e la rivolta dei ladri che si sentono truffati
venerdì 9 marzo 2018
Senza che quasi ce ne accorgessimo il mondo digitale ci ha abituato al «tutto gratis». Programmi per il pc gratis, servizi gratis, app gratis, musica gratis, libri gratis, notizie gratis e via dicendo. E quando spieghi in giro che se nel digitale non paghi qualcosa è perché il prezzo sei tu, ti guardano come se fossi un alieno. Invece il prezzo sei proprio tu. Siamo proprio noi. Paghiamo con i nostri dati, la nostra privacy, il nostro tempo, la nostra attenzione, la nostra intelligenza.
Intendiamoci, la gratuità è una cosa stupenda e non la scopriamo certo ora col digitale. Solo che è una cosa molto diversa dal «tutto gratis». Prevede un dono. Ancora meglio: prevede un donarsi. Dare qualcosa di sé a un altro essere umano per farlo stare meglio. Il «tutto gratis», invece, è un puro atto di egoismo. Io voglio. Io pretendo. Ora e adesso. Per me e solo per me. Al massimo, per me e i miei amici o i miei familiari. Fine delle trasmissioni. A questo si aggiunge un altro tassello. Nel digitale (e ormai non solo lì) chi ottiene qualcosa gratis si sente furbo. Anzi, più furbo degli altri.
Il vantaggio economico nel non pagare qualcosa è sicuramente una leva, ma la soddisfazione personale è una leva ben più potente. Per questo, per esempio, molti di noi hanno «piratato» almeno una volta un film sulla Rete. Soprattutto se era ancora nelle sale cinematografiche. Magari per fare colpo sui figli scaricando con quel cartone che a scuola nessuno ha ancora visto. Gente così, però, se venisse presa con le mani nel sacco si vergognerebbe. E non poco. Perché sa che sta facendo qualcosa di illecito.
La cultura del «tutto gratis», unita ai peggiori difetti umani ha generato nel frattempo una nuova «categoria» ben più allarmante e vergognosa.
In questo senso è illuminante ciò che è accaduto nelle ultime ore. Il servizio di musica Spotify – che offre milioni di canzoni a chi si iscrive sia gratis sia con un profilo «premium» che costa 9,99 euro al mese – ha mandato una mail agli utenti che utilizzavano il servizio «premium» illegalmente per avvisarli che avrebbe provveduto a sospendere o chiudere i loro account se avessero continuato a truffare l'azienda.
Apriti cielo. Migliaia di truffatori si sono rivoltati contro Spotify, screditandola e offendendola in ogni modo. Così, nel volgere di qualche ora il mondo si è ribaltato: chi truffava Spotify si è sentito truffato. C'è chi l'ha scritto molto chiaramente sui social e chi ha punito l'app, dandole il voto più basso possibile, accompagnandolo con frasi tipo: «Pagare 10 euro per ascoltare musica è una truffa».
Questa neanche tanto piccola rivolta porta con sé molte domande e qualche ragionamento. Chi sono queste persone? E perché sono così ottuse da non capire che stavano commettendo un illecito? Cosa passa nelle loro teste per ribaltare così tanto il mondo da tramutare in rabbia e accusa ciò che avrebbe dovuto essere almeno vergogna e scusa?
Lo so: a questo punto ognuno di voi le avrà incasellate in questo o quel partito, per spiegarsi come mai certi italiani hanno votato «così male». Temo invece che questo sia un campione molto trasversale. E non solo politicamente.
Perché a furia di regalare contenuti nel digitale il sistema non ha fatto crescere degli utenti o un pubblico ma ha fatto regredire molti adulti nel ruolo di bambini viziati che devono avere tutto ciò che desiderano senza alcuno sforzo o esborso. Gente che pretende. E se non ottiene subito ciò che vuole alle sue condizioni, protesta, offende, attacca, stronca. Senza mai sentire ragione. Senza mai farsi non dico un esame di coscienza ma almeno una domanda: non è che stavolta ho torto?
Persone così non sono «soggetti da social», come spesso siamo tentati di credere, ma persone che ragionano e spesso si comportano così in ogni ambito della vita. Stavolta è toccato a Spotify. Ma la prossima potrebbe toccare a qualunque altra azienda o servizio.
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