Il 10 Years Challenge e la vera sfida in gioco
venerdì 18 gennaio 2019

Dicono sia partito tutto da un meteorologo di una tv dell'Oklahoma, il quale l'11 gennaio ha sfidato gli amici su Facebook a postare una loro foto di oggi accanto a una di 10 anni fa. Un'idea che, in una sola settimana, gli è stata copiata e rilanciata da milioni di persone in tutto il mondo (e da vip di varia natura) invadendo Facebook, ma anche Instagram e Twitter. Un diluvio di foto del 2009 e del 2019, accompagnate dagli hashtag #TenYearsChallenge e #TenYearChallenge. Non sono mancate persone che hanno scelto di fare a modo loro, creando post ironici che mettono a confronto animali, trofei sportivi, auto, luoghi e oggetti vari.
Un caso simile, per portata e successo, rimanda alla memoria l'Ice Bucket Challenge, la sfida delle «docce gelate» lanciata nell'estate 2014 dalla ALS Association con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sclerosi laterale amiotrofica e di stimolare donazioni per la ricerca. La prima differenza che salta agli occhi è che stavolta non c'è alcuna causa benefica che giustifichi questa "sfida". Per tutti è solo un "gioco" che sfrutta la voglia di divertirsi degli utenti dei social. Il 39% infatti li usa per occupare il tempo libero e il 37% per trovare cose divertenti. Ma Kate O'Neill, sul sito della rivista americana "Wired", ha pubblicato ieri un'analisi che va oltre e merita attenzione. Si è chiesta: e se tutto questo fosse un'enorme azione di Facebook (che possiede anche Instagram, non dimentichiamolo) «per addestrare un algoritmo di riconoscimento facciale sulle caratteristiche legate all'età e, più nello specifico, sulla progressione dell'età»? A chi sosteneva e sostiene che Facebook una parte di queste immagini di fatto le abbia già, Kate O'Neill ha risposto: «Certo, ma molte foto sono state postate senza dati esatti (magari un mese fa, abbiamo pubblicato una nostra foto di 4 anni prima senza specificarlo, ndr) mentre ora tutto è scansionato in un arco temporale preciso: dieci anni fa e ora».
Facebook nega tutto. E parla di un fenomeno spontaneo. Ma vista l'aria negativa che tira da un po' di tempo sulla galassia di Zuckerberg viene difficile pensare che l'azienda possa confermare simili sospetti. Senza contare che molti utenti si sono chiesti e si chiederanno: e se anche Facebook volesse addestrare un algoritmo di riconoscimento facciale, usando le nostre foto, cosa c'è di male? Per Kate O'Neill, «ci sono tre modi per usare il riconoscimento facciale: uno buono, uno di medio rischio e uno pericoloso». Quello buono è che «una tecnologia di questi tipo potrebbe aiutare a trovare bambini scomparsi, ricostruendo i loro volti dopo anni dalla loro ultima foto conosciuta». Quello «a medio rischio» è che questa tecnica potrà essere usata per offrirci pubblicità sempre più mirate, tenendo conto anche del nostro aspetto, che comprende l'età, l'etnia, il peso, lo stato dei capelli, l'uso di occhiali da vista (e qualunque altro dato estraibile da una foto). Quello pericoloso è che l'età che traspare dal nostro viso (visto che invecchiamo tutti in maniera diversa) potrà, per esempio, essere usata per valutare il nostro rischio assicurativo e quanto potremmo costare o meno al sistema sanitario, Visto che in molti Paesi le cure sono private e a carico dei cittadini, i quali si cautelano pagando delle assicurazioni, che cosa potrebbe accadere se un sistema simile decidesse quali sono i candidati che non conviene aiutare?
Se pensate sia fantascienza, sappiate che Amazon nel 2016 ha introdotto servizi di riconoscimento facciale in tempo reale che vende già alle forze dell'ordine e alle agenzie governative, nonostante la protesta dell'American Civil Liberties Union. Insomma, se ci pensiamo bene, alla fine non ha così tanta importanza se #10YearsChallenge sia un gioco o una sorta di schedatura di massa. Ciò che conta è che dobbiamo diventare sempre più esigenti con noi stessi (su ciò che postiamo e facciamo online) e con le aziende (per come usano e useranno i nostri dati). Questa è la vera sfida alla quale siamo chiamati. Ogni giorno. Anche quando pensiamo di stare solo giocando.

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