Il debito, se è europeo, può fare bene a tutti
domenica 21 gennaio 2024
Da qualche anno un po’ appannato, il World economic forum di Davos resta comunque un palcoscenico in cui ognuno può parlare più o meno di ciò che vuole. Non ha conquistato titoloni dalle nostre parti, ma tra i tanti temi che poteva sollevare il presidente francese Emmanuel Macron ce n’è stato uno in particolare che merita di essere ripreso: il debito europeo. Macron non se la passa benissimo e tra le nevi di Davos ha difeso le sorti del suo secondo quinquennato. Ma si è spinto oltre e ha lanciato un appello all'Ue affinché faccia «maggiori investimenti», con una strategia «molto più forte», «osando gli eurobond» su alcune «grandi priorità» strategiche comuni Ue. Slogan? Può essere. Sta di fatto, però, che il presidente francese non è la prima volta che tira fuori dal cilindro il tema del debito comune europeo, già al centro ad esempio di una sua lunga intervista al Financial Times del maggio 2017 (https://www.ft.com/content/0e8d3194-3c8d-11e7-821a-6027b8a20f23), addirittura prima della sua elezione all’Eliseo. Da allora sono passati sei anni, una pandemia e un piano europeo – il NextGenerationEu, padre del Pnrr – che l’Unione si è finanziata proprio grazie a emissioni obbligazionarie congiunte, cioè garantite collegialmente da tutti i Paesi Ue. In pratica, è dai mercati finanziari che l’Europa ha tratto le risorse per la ripartenza post-Covid: da metà 2021 la Commissione europea ha distribuito agli Stati 175,6 miliardi raccolti grazie alle emissioni di Eu bonds e NextGen Green bonds, a cui si sono aggiunti nel 2023 16,5 miliardi destinati all’Ucraina. In pratica, la pandemia ha fatto dell’Europa uno dei principali emittenti sul mercato globale del debito.
Quello del debito comune è un tema politicamente delicato, perché nei Paesi strutturalmente meno indebitati l’opinione pubblica non ama vedersi legata a filo doppio ai Paesi-cicala, di cui l’Italia è l’emblema.
Ma intanto la macchina si è messa in moto, e non accenna a fermarsi: il 12 dicembre la Commissione ha reso noto che nel primo semestre 2024 sono attese nuove emissioni per altri 75 miliardi, dopo un 2023 chiuso a quota 115,9 miliardi (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_23_6528). E il mercato? L’ultima asta di titoli europei a medio-lungo termine, avvenuta l’8 gennaio scorso, ha visto una domanda leggermente superiore all’offerta, con 5 miliardi di richieste per i 4,5 miliardi messi sul mercato (Results of 08-01-2024 auction (EU/-Bonds) - European Commission (europa.eu). Dunque, il mercato compra e apprezza. Certo un po’ meno di un paio d’anni fa. Tanto è vero che i rendimenti offerti dagli Eu-bond dal 2022 a oggi sono cresciuti in proporzione più dei titoli nazionali. Le ragioni sono tante, e in buona parte tecniche: semplificando, il mercato dei titoli europei è ancora troppo “giovane” per risultare pienamente efficiente come altri ben più rodati (tipo i BTp). Ciononostante, si procede. Perché di fronte al fabbisogno di risorse e a banche centrali che non comprano più come prima, non ci sono euroscetticismi che tengano. Secondo le stime di Ubs riportate dal Sole 24 Ore il 10 gennaio scorso, nel 2024 i governi dell’area euro dovranno raccogliere qualcosa come 1.245 miliardi sul mercato per rifinanziare i debiti vecchi e coprire quelli nuovi; l’Italia guida la sgradevole classifica con 346 miliardi, seguita dalla Francia (295) e dalla Germania (275),
che si è ritrovata con l’economia in panne e pertanto ha dovuto di nuovo “sterilizzare” i limiti all’indebitamento fissati dalla Costituzione. Con queste montagne da scalare, un po’ di debito europeo non può che allentare la pressione per tutti. E se a farsi portavoce è la Francia, meglio ancora. © riproduzione riservata
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