venerdì 16 dicembre 2011
Chi è affamato non ha scelta: il suo spirito non proviene da dove lui vorrebbe, bensì viene dalla sua fame.

Nella marcia terrificante dei quattro cavalieri dell'Apocalisse, il terzo cavalca un destriero nero e regge in mano una bilancia con la quale pesa con parsimonia e a prezzi elevati le derrate alimentari: è il simbolo della fame, che anche noi talora definiamo come "nera", e delle carestie che imperversano sul nostro pianeta (6,5-6). Una tragedia che umilia non solo il corpo riducendolo a una larva, ma anche l'anima che riesce appena a emettere il desiderio istintuale di sopravvivenza. È ciò che ricorda, in un diario curiosamente intitolato «d'antepace» (così come ne aveva scritto uno «di dopoguerra»), lo scrittore svizzero tedesco Max Frisch (1911-1991), particolarmente sensibile ai temi sociali e all'egoismo della società capitalistica.
In questi giorni, passeggiando per le vie di Roma o di qualsiasi altra città o paese, ci si imbatte in un tripudio consumistico, divenuto ormai la sigla di un Natale ricco di prodotti e povero di spiritualità. Scherzando, un giorno lo scrittore inglese Chesterton confessò: «Ieri in metropolitana ho avuto il piacere di offrire il mio posto a tre signore!». Sì, per noi l'incubo è l'obesità, il comandamento del dopo-feste sarà la dieta e l'impulso dominante ora è l'acquisto, anticamera dello spreco. Per questo, è importante seguire quel cavallo nero per non farci dimenticare coloro il cui incubo è la fame, il cui comandamento è sopravvivere e l'impulso è il rovistare nell'opulenta spazzatura del nostro sperpero. Scriveva san Paolo: «Cristo, da ricco che era, si fece povero, perché voi diventaste ricchi della sua povertà» (2 Corinzi 8,9).
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