Hagler, la perfezione ha bisogno dell'altro
mercoledì 17 marzo 2021
Quando un grande campione se ne va, è naturale raccogliere il ricordo di chi lo ha visto da vicino, da chi ha camminato per un tratto di strada al suo fianco o da chi, magari per luce riflessa, ha goduto di quello splendore.
Nella fattispecie il campione che se ne è andato, a sessantasei anni, si chiamava Marvin Hagler, il cui soprannome non ha bisogno di traduzione: "The Marvelous", uno fra i più grandi boxeur della storia. Spesso il ricordo di un grande viene chiesto ad un altro grande: è come se lo standing di chi parla, insieme a quello di chi è oggetto della narrazione, dovessero risultare coerenti.
Nel caso di Marvin Hagler, tuttavia, il ricordo che mi ha colpito di più è stato quello di Vito Antuofermo un pugile, molto meno noto, di origine italiana.
Nel 1979 Vito Antuofermo, campione del mondo dei pesi medi, incontra al Caesars Palace di Las Vegas Marvin Hagler, un anno più giovane di lui, ma già destinato alla meraviglia. Hagler sta dominando l'incontro, dopo dieci riprese è in netto vantaggio, ma decide, anziché tentare il ko, di gestire le ultime cinque riprese. Il pugile di origine italiana si immola con una generosità impressionante per tentare di condurre l'incontro in pareggio, situazione che gli avrebbe permesso di mantenere il titolo. Si espone, incassa, non molla, ci riprova e... ci riesce. Antuofermo non solo conserva il titolo, ma diventerà l'unico pugile ad aver resistito in piedi per 15 round di fronte a "The Marvelous", contando settanta punti di sutura sul volto al termine di quell'incontro, scatto decisivo verso un record non esattamente invidiabile e che ancora oggi gli appartiene, quello dei punti in sutura collezionati in carriera: 359!
Vito Antuofermo da Palo del Colle scopre cosa significa stare di fronte alla magnificenza. Peraltro anche Hagler ricambia l'affetto, specialmente nel post-carriera, dicendo: «Il pugilato mi ha lasciato molti bei ricordi, ma quelli che porto dentro con particolare piacere sono i momenti che ho vissuto sul ring con Vito Antuofermo. Sono stati grandi momenti di boxe. Lui era un ragazzo molto difficile da affrontare, era goffo e grezzo. Ma aveva un coraggio e un cuore da leone. Era sempre disposto a battersi sino all'ultimo respiro, sarebbe morto sul ring prima di lasciarsi battere».
Ecco, mi ha commosso il ricordo di colui che sarebbe morto sul ring prima di farsi battere da Hagler, ricordare Hagler da morto.
Antuofermo, stoico incassatore, con sopracciglia talmente fragili da diventare sempre, ad ogni combattimento, una maschera di sangue "Marvelous" non lo era per niente e se la fisicità di Hagler ricordava quella di un dio greco, Antuofermo assomigliava al "pugilatore a riposo", la statua di bronzo custodita al Museo Nazionale Romano che rappresenta un atleta seduto, sfiancato, con tutto il corpo ferito e segnato dal combattimento.
Per ogni atleta bello, perfetto, ce n'è almeno un altro che, per simmetria, è brutto e imperfetto. E gli è necessario. Come dicono nel rugby in ogni squadra serve colui che suona il pianoforte e quello che deve portare il pianoforte a spalle al trentancinquesimo piano del grattacielo dove si trova l'auditorium. Entrambi sono necessari per generare meraviglia. Soprattutto l'uno senza l'altro non avrebbero senso.
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