Gli allarmi non risolvono i guai
sabato 5 aprile 2008
Prima la mozzarella poi il vino, poi magari, chissà, il latte oppure la pasta. Ci sarebbe " e c'è " da mettersi le mani nei capelli ad elencare le notizie della cronaca agroalimentare di queste ultime settimane. Dopo la diossina in uno dei prodotti cardine dell'agricoltura del Sud, le ultime vicende del Brunello non in purezza e dei milioni di ettolitri di vino con dentro più chimica che uva, non hanno fatto che accrescere un senso di panico in molti operatori del settore, ma soprattutto nei consumatori. Davvero tutto quello che mangiamo è irrimediabilmente contaminato e falsato?
Davvero l'agroalimentare è sprofondato in una crisi dalla quale difficilmente si risolleverà? E, ultimo cruciale interrogativo, davvero tutto questo è frutto di una sorta di complotto messo in atto da chi vuol male alle nostre esportazioni? La risposta a queste domande è facile ed è negativa. La crisi dell'agroalimentare italiano " sempre che ci sia e che sia così generalizzata " non nasce certo sull'onda provocata dalle notizie di un mese. Che, poi, vi siano alcuni, forse molti e troppi, imprenditori con pochi scrupoli che si sono allegramente dedicati a produrre Brunello di Montalcino non secondo i canoni del disciplinare di produzione " oppure che, sparsi per l'Italia, alcuni poco di buono abbiano preferito far vino con i fitofarmaci e i detersivi " è certamente cosa da indagare bene e condannare. Anche se non è possibile equiparare la storia del Brunello con quella dei 70 milioni di ettolitri di vino nocivi alla salute. Con un approccio simile occorre poi guardare alla storia della diossina nella mozzarella: pochi o molti che siano quelli che hanno sbagliato, non è possibile prendere una parte per il tutto.
Anche perché, esattamente nello stesso momento in cui le notizie cattive sfondavano sulle pagine dei giornali, altre notizie " buone " venivano diffuse dalle agenzie. Basta pensare alle confortanti prestazioni dell'Asti Spumante nello scorso anno con 78 milioni di bottiglie vendute (+11% rispetto al 2006), oppure al fatto che circa 10mila aziende viticole italiane applicano ormai le tecniche di produzione biologica. Guardando ai formaggi, poi, basta ricordare quanto questi siano imitati in tutto il mondo per capire che più che di crisi occorre parlare d'altro.
Certo, i problemi ci sono, le difficoltà anche, i mali devono essere curati. L'Italia agricola e agroalimentare soffre ancora in maniera forte della frammentazione della produzione e dell'offerta, delle discrasie fra questa e la distribuzione, del peso disomogeneo fra i vari anelli della catena agroalimentare dai campi al consumo finale. E fa ovviamente anche bene l'Unione europea a chiederci conto dei guai con cui abbiamo a che fare. Indagare, capire e se occorre punire, sono tre passaggi necessari per ribadire che l'agroalimentare di casa nostra è tutt'altro che falso e in crisi. Ma parlare sempre di problemi, potrebbe anche attirarne altri piuttosto che aiutare a risolvere quelli che già ci sono.
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