Frère Roger e la comunità di Taizé: virali anche prima di internet
venerdì 15 maggio 2015
Non escludo, naturalmente, che mi abbiano tradito. I robot che collaborano con me per questa rubrica, intendo. Ragionano solo in termini di numeri, non distinguono un titolo caldo da uno freddo… Se mi fido di loro, pare che nel non piccolo mare dell'informazione ecclesiale digitale in cui navigo quotidianamente solo il blog “Sperare per tutti” (http://tinyurl.com/pej9hqw ) si sia ricordato del centenario della nascita di frère Roger Schutz, il fondatore di Taizé, che cadeva martedì 12 maggio.E dire che la comunità monastica di Taizé pare riflettere tutta intera, in Rete, la popolarità di cui gode nelle nostre parrocchie e associazioni: le ricorrenze dichiarate da Google si misurano a centinaia di migliaia e decine di migliaia sono i video reperibili su YouTube, mentre ciascuna delle tante pagine Facebook “locali” che si rifanno a Taizé mi esibisce, come credenziale, almeno un paio di nomi diversi di miei “amici”. Posso dunque affermare con ragionevole certezza che ben pochi “cristiani della linfa” non sappiano di questa comunità monastica originariamente protestante, iniziata nel 1940 e via via divenuta un segno inconfondibile di spiritualità ecumenica, con un'attrattiva senza eguali specie verso i giovani. Christian Albini alterna sul suo blog, «tra spiritualità e teologia», una rassegna stampa attenta e selettiva e una quota non invadente di riflessioni personali. Per la memoria di questo centenario si è affidato a uno schema analogo: presenta in poche righe Taizé e frère Roger, dichiarandosi egli stesso debitore spirituale di entrambi, e poi lascia la parola a un'autorità indiscussa in tema di monachesimo del Novecento, Thomas Merton. Già nel 1966 il famoso trappista additava Taizé come «modello di semplicità, spontaneità, generosità, vitalità» per gli ordini cattolici «irrigiditi» dai secoli, e come incoraggiamento «ad aderire senza timore all'ideale della solitudine, della preghiera, della rinuncia, della povertà e del lavoro, che dev'essere l'ideale nostro».
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