«Fake news» e complotti colpiscono anche i ragazzi
venerdì 11 febbraio 2022
Quando pensiamo ai pericoli ai quali sono esposti i minori nel digitale, la nostra mente difficilmente pensa alle «fake news» e alle teorie complottiste. Eppure la prestigiosa rivista Scientific American (fondata nel 1845 e pubblicata dal Nature Publishing Group) dedica ampio spazio al fatto che anche i bambini ne sono vittime. Al punto che, sempre più spesso, «nelle scuole ci sono alunni che negano l'olocausto o che sono convinti che il Covid sia una bufala».
Secondo uno studio, pubblicato nel settembre 2021 sul British Journal of Developmental Psychology, «è soprattutto verso l'età di 14 anni che i bambini iniziano a credere alle "teorie complottiste" e alla disinformazione». Anche perché (alla pari di alcuni adulti) «molti adolescenti hanno difficoltà a valutare la credibilità delle informazioni online». A dare retta a un sondaggio del sito Skuola.net, l'Italia sarebbe un'isola felice. Di più: unica. «Il 93% dei ragazzi italiani tra gli 11 e 25 anni dice di saper distinguere una fake news da una notizia vera».
Secondo Scientific American, «la quasi totalità degli studi sul come si propagano la disinformazione e le teorie del complotto non tiene mai conto dei giovani». E quindi non ci sono abbastanza dati sull'argomento. Eppure, ogni insegnante, anche in Italia, sa bene che il problema esiste per averlo sperimentato sui propri alunni.
Per capire quanto la situazione sia grave, secondo la British Psychological Society, «il 60% dei britannici crede in almeno una teoria del complotto». E in America sappiamo bene quanto siano diffuse. Possibile che da noi siamo tutti così (più) furbi? Lo speriamo, ovviamente. Ma la verità è che mediamente tutti siamo molto più a rischio di quello che crediamo. Non a caso, sono almeno tredici anni, dal 2009, che l'Unione europea ha chiesto agli stati «una maggiore alfabetizzazione mediatica». E da allora molti progetti meritori sono stati messi in campo, alcuni dei quali rivolti direttamente agli studenti. C'è un punto dell'articolo di Scientific American che non piacerà a insegnanti, formatori e giornalisti. «Troppi pochi ragazzi stanno partecipando a incontri di vera qualità sull'alfabetizzazione digitale e mediatica». Anche perché, spiega l'autorevole rivista, sono molto più difficili da fare di quello che normalmente si crede. «Molti si concentrano nel sottolineare la bontà di ciò che viene pubblicato dai giornali, come se non esistessero testate che ospitano anche voci e articoli che diffondono complotti e disinformazione». Il che rende questi corsi «di parte» e non completi. C'è un altro aspetto delicatissimo: «Spingere gli studenti a essere scettici su tutte le informazioni può anche avere aspetti negativi inaspettati. Perché alla lunga lo scetticismo porta a credere che tutto sia potenzialmente falso o manipolato».
Su quali siano i metodi più corretti per alfabetizzare digitalmente i ragazzi (e gli insegnanti e i genitori) è in corso un grande dibattito a livello internazionale. Howard Schneider, direttore del Center for News Literacy, è stato uno dei primi a tenere corsi che insegnano agli studenti a discernere la qualità delle informazioni. «Gli educatori e in generale tutti gli adulti – dice – devono fare un grande passo avanti su questi temi. Invece che preoccuparci a difendere le nostre categorie di appartenenza, dobbiamo pensare al bene comune». Facile da dire, difficilissimo da mettere in pratica.
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