giovedì 16 ottobre 2008
XXIX domenica
Tempo ordinario - Anno A

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Una domanda trappola, una domanda malvagia, costruita per amplificare tensioni e divisioni: «È lecito o no pagare le tasse a Roma?». Al nemico, all'invasore. Posta a Gesù, che intendeva eliminare il concetto stesso di nemico.
Se avessimo fra le mani quella moneta romana, capiremmo molto di più: il profilo dell'imperatore non era un semplice omaggio al cesare di turno, ma indicava la proprietà: egli era il proprietario di quell'oro e chi l'aveva in mano ne era solo un proprietario temporaneo. «Questa moneta appartiene Cesare, non dovete far altro che restituirla».
Ma la profezia di Gesù sorge nella seconda parte della risposta, quando alla questione politica e storica, sul rapporto tra uomo e uomo, risponde conducendoci in profondità, al rapporto tra uomo e Dio. L'iscrizione sulla moneta diceva «al divino Cesare» o «al dio Cesare». Proprio questa sintesi pericolosa Gesù vuole disinnescare: Cesare non è Dio.
«Rendete a Dio quello che è di Dio». Ma che cosa gli appartiene? «La terra, l'universo e tutti i viventi» (salmo 24,1); «io appartengo al Signore» (Isaia 44,5). A Cesare vadano le cose, a Dio le persone. Cesare non ha diritto di vita e di morte sulle persone, non ha il diritto di violare la loro coscienza, non può impadronirsi della loro libertà. A Cesare non spetta il cuore, la mente, l'anima. Spettano a Dio solo. Ad ogni potere umano è detto: Non appropriarti dell'uomo. L'uomo è cosa di un Altro. Cosa di Dio. A me dice: Non iscrivere appartenenze nel cuore che non siano a Dio. Libero e ribelle a ogni tentazione di possesso, ripeti a Cesare: Io non ti appartengo.
La risposta di Gesù ha come intenzione quella di allargare il problema: non di teorizzare l'autonomia delle realtà mondane, o la separazione dei poteri, ma quella di prendere le radici stesse del potere e di capovolgerle al sole e all'aria. Per Gesù Dio non è il potere oltre ogni potere, è amore. Non è il padrone delle vite, è il servitore dei viventi. Non un Cesare più grande degli altri cesari, ma un servo sofferente per amore. Tutt'altro modo di essere Dio.
Gesù impiega un verbo che non vuol dire solo «date», ma più precisamente «restituite», «ridate indietro». Perché nulla di ciò che hai è tuo, di nulla sei proprietario, se non del cuore. Sei figlio di un dono, che viene da prima di te e va oltre te. Tu, talento d'oro, dono che porta coniata l'immagine di Dio, devi restituire niente di meno di te stesso, ma soltanto a Lui.

(Letture: Isaia 45, 1.4-6; Salmo 96; Tessalonicesi 1, 1-5; Matteo 22, 15-21)
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