Curio, l'app che dà voce al giornalismo di qualità
venerdì 11 settembre 2020

Il vocabolo «curio» in italiano sta a indicare «l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come simbolo Cm e come numero atomico 96». In inglese, invece, «curio» è «un oggetto così speciale, affascinante e insolito che merita di essere collezionato».
In fondo, se ci pensiamo bene, uno dei nodi delle nostre vite digitali sta proprio qui. Nell'essere sempre più capaci (ognuno nel suo piccolo e con le sue competenze) di creare, scovare e portare all'attenzione del maggior numero possibile di persone le idee, le immagini, la musica e le parole «da collezione» che esistono nonostante lo sconforto che spesso ci prende nella nostra frequentazione di social e web, dove sembra che le cose di valore interessino solo a pochi.
Curio è anche il nome di una piattaforma molto interessante che gira sull'omonima app per cellulari iOS e Android. Offre articoli di qualità e analisi di valore in formato audio, letti in inglese (per ora l'italiano non è disponibile) da speaker professionisti. I contenuti vengono scelti da una redazione attingendo da oltre 50 testate giornalistiche, tra cui The Wall Street Journal, The Washington Post, The Economist, Financial Times, Wired, MIT Technology Review e Aeon. Il servizio propone gratis 10 contenuti. Poi c'è una doppia scelta: o pagare 7,99 dollari al mese (circa 6,75 euro) oppure 59,99 dollari all'anno (poco più di 50 euro).
Uno dei due fondatori di Curio è Govind Balakrishnan, che ha lavorato alla BBC. Non è un giornalista, ma ha le idee molto chiare sul giornalismo. Secondo lui, tempestati come siamo dall'ultima polemica social e dai pettegolezzi di giornata, spesso tendiamo a dimenticarci «che i contenuti giornalistici di valore offrono un'opportunità senza precedenti per le persone di imparare e crescere». Non a caso lo slogan scelto da Curio è: «impara nuove idee ogni giorno».
Direte voi: ma dove sta la differenza con i servizi di alcuni quotidiani (Avvenire compreso) che offrono la possibilità di ascoltare la lettura dei loro articoli? C'è, ed è tutt'altro che piccola. La forza di Curio è legata sia al numero di testate coinvolte sia alla capacità della redazione di selezionare il materiale più significativo, di catalogarlo in sezioni precise e di offrire ad ogni utente (con l'aiuto dell'intelligenza artificiale) i contenuti migliori per lui.
Balakrishnan ha raccontato a Tech Crunch «che la percentuale più alta di abbonati a Curio è compresa nella fascia 25-34 anni e che oltre il 60% dei nostri utenti non sono ascoltatori di podcast». Per lui Curio è un modo efficace di diffondere e supportare il giornalismo di qualità.
Anche Curio purtroppo ha un difetto. Che è lo stesso delle altre piattaforme che raccolgono nel digitale i contenuti di testate giornalistiche diverse: la scarsa capacità di rappresentare davvero le voci più importanti.
Per esempio, nonostante sia ben fatta e abbia una sezione dedicata alla spiritualità e alla religione, la piattaforma non ospita articoli di testate cattoliche. Se cercate nella sezione «religione-spiritualità» gli ultimi dieci contenuti presenti, quattro sono tratti dal Financial Times, tre dalla rivista culturale Aeon, e uno a testa dal Boston Review, da JstorDaily (nato da una costola delle biblioteca digitale statunitense JStor), e dal magazine online Salon.
Insomma, siamo alle solite: le voci cattoliche, per ragioni non soltanto «politiche», non trovano posto in queste piattaforme. Così, ogni testata cattolica va per conto suo, con tutto ciò che ne consegue. Fino a che qualcuno avrà la lungimiranza o il coraggio di creare una Curio cattolica o qualcosa di simile.

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