Così l’olio d’oliva vince (ma con affanno)

August 2, 2025
L’olio di oliva italiano nonostante tutto si difende bene nel mondo: le esportazioni crescono, la qualità è riconosciuta da tutti. A conti fatti – quelli di Ismea che ha appena reso noto il rapporto 2025 sul comparto – la produzione di olio di oliva riesce a mettere in fila numeri importanti: un fatturato di 5,8 miliardi di euro, esportazioni in aumento del 6,8% per poco più di tre miliardi (che sono riuscite ad abbattere il disavanzo dell’84%), circa 620mila aziende agricole, 1,1 milioni di ettari coltivati e 4.240 frantoi. Eppure, c’è ancora qualcosa che non va nel settore. E non è solo la famigerata Xylella che ha continuato a generare problemi in molte aree dello Stivale. Ismea comunque non ha dubbi a definire l’olivicoltura come “uno dei comparti più strategici dell’agroalimentare italiano”. E così è in effetti, tenendo conto del ruolo non solo economico che gli olivi hanno per tanta parte del nostro territorio. Quella dell’olivo e del suo olio è in ogni caso una filiera produttiva determinante per alcune regioni. L’Italia – sottolinea ancora Ismea - si conferma secondo esportatore mondiale, con una quota del 20%, e vanta 42 DOP e 8 IGP in costante espansione. Anche tenendo conto dell’alternarsi di annate di “carica” e di “scarica” della produzione, come quella che si è chiusa da poco con un calo produttivo pari al 24%. Che poi il nostro prodotto sia tra i più apprezzati in assoluto, lo dicono i mercati mondiali. A causa anche dell’andamento produttivo differenziato, Ismea segnala come i prezzi degli olii concorrenti siano recentemente scesi, mentre quelli dell’olio italiano abbiano tenuto ampiamente il mercato. Per capire, basta sapere che l’olio extravergine di oliva spagnolo è passato rapidamente da quasi 9 euro ai 3,60 al chilo di giugno 2025, trascinando verso il basso anche quelli della Grecia e della Tunisia, mentre
l’extravergine italiano è rimasto “saldamente – dice Ismea - in media sopra i 9 euro al chilo, nonostante uno scenario internazionale decisamente al ribasso”.
Da dove arriva, quindi, il malessere dell’olivicoltura italiana? Stando agli analisti, c’è ancora troppa frammentazione mentre servirebbe na maggiore aggregazione sul territorio per riuscire a rispondere meglio alle richieste dei mercati. E manca anche un’ampia ricerca tecnica che metta a disposizione dei coltivatori gli strumenti giusti per contrastare cambiamenti climatici, fitopatie e calo dei volumi produttivi. Certo, recentemente sono stati messi a disposizione oltre 160 milioni di euro da spendere tra interventi di filiera, investimenti in ricerca e contrasto alle malattie. L’olivicoltura italiana li merita tutti. Occorre spenderli bene. © riproduzione riservata

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