giovedì 20 novembre 2008
XXXIV Domenica
Tempo Ordinario-Anno A
Cristo Re dell'Universo

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». [...] «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».

Padre che sei nei cieli... ma il cielo di Dio sono i poveri. E quando la tua mano tocca un povero dalla vita dolente, le tue dita stanno sfiorando il cielo di Dio. Dove entreremo solo se saremo prima entrati nella vita di chi soffre.
Perché Gesù sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, nell'ultimo posto; in coloro che incarnano non i tuoi sogni, ma le tue paure e i tuoi dolori: Dio naviga in un fiume di lacrime (Turoldo).
La cosa che mi commuove, delle cose ultime, è che Dio non mi giudicherà scorrendo l'elenco delle mie debolezze, ma quello dei miei gesti di bontà; non indagherà le mie ombre ma annoterà i semi di luce o il polline di bene che ho seminato. Distogli il tuo sguardo dal mio peccato, supplicava Davide nel salmo del pianto. Ed ecco che Dio esaudisce quel grido, nell'ultimo giorno distoglierà il suo sguardo dal male, per sempre lo fisserà sul bene. Sul bene concreto: e l'umiltà della materia è così importante che Dio vi ha legato la salvezza, l'ha legata a un po' di pane, ad un bicchiere d'acqua, ad un vestito donato, ai passi di una visita. Non alle cose però, ma al cuore detto dalle cose.
Questa è la grandezza della fede evangelica: il tema del supremo confronto tra uomo e Dio non è il peccato ma il bene. Misura dell'uomo, misura di Dio, misura della storia è il bene. Il nostro futuro, cielo e paradiso, è generato dal bene che io, tu, noi abbiamo donato al Lazzaro infinito, al Lazzaro innumerevole della terra. Il giudizio di Dio è l'atto che dice la verità ultima dell'uomo, e per trovarla non guarderà me, ma intorno a me: le mie relazioni, la porzione di poveri e di lacrime e di amori che mi è affidata e che devo custodire con la mia vita. Se c'è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è solo l'amore.
Dio non ti sorprende in un momento di debolezza, quando non ce la fai a vivere in un modo più nobile e puro, ma è colui che instancabilmente ti sospinge al bene. Che non misura le tue debolezze, ma incalza la tua bontà.
Il povero di cui parla il Vangelo è colui che viaggia ai limiti dell'esistenza. E se lo guardi, ti senti naufragare. Il povero, per la sua fragilità, ti obbliga a confrontarti con le cose estreme, con la vita a rischio, è metafora di fallimento e di morte. Ma è anche maestro di fede perché incarna l'evidenza che tutti noi viviamo solo perché custoditi da altri, che esistiamo solo perché accolti da Qualcuno, impaziente di ripetere: Vieni, benedetto!
(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26a.28; Matteo 25,31-46)
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