Cari nerazzurri, lassù qualcuno vi ama... Prisco e Facchetti
martedì 4 maggio 2021
Ogni volta che una squadra vince uno scudetto o una Coppa, dopo tanto tempo, penso sempre a quei suoi tifosi speciali che non hanno potuto assistere all'impresa, perché sono volati via, nel mondo dei più. E allora, il giorno dopo il 19° tricolore dell'Inter, il primo pensiero è andato al più grande tifoso interista che ho avuto la fortuna di conoscere: l'avvocato Peppino Prisco. L'unico vero “Avvocato” per i nerazzurri della sua generazione. Un alpino, un temerario che ha fatto della sua passione per la Beneamata un genere letterario che ancora si tramanda. Un umorista straordinario che, alla folla sciagurata dei 30mila riunitasi in Piazza Duomo per festeggiare lo scudetto, avrebbe ricordato: «A Milano ci sono due squadre: l'Inter e la Primavera dell'Inter». Un maestro dell'arte dello sfottò. Prisco avrebbe mal digerito tutta questa cineseria alla gestione della sua beneamatissima, e storto la bocca al fatto che un pezzo di Juve, Conte e Marotta, siano stati gli artefici della rinascita interista. Ma alla fine, avrebbe gioito per la vittoria schiacciante che ha interrotto il decennale monopolio bianconero e cancellato almeno un po' l'altro decennio di dominio del Milan berlusconiano che gli era toccato di ricordare. Mi piace pensare che la sua gioia sia anche quella della mamma del comico Paolo Rossi. «Se dovesse capitarmi qualcosa e l'Inter dovesse vincere la Champions, Paolo pensa a portarmi un ricordo di quella serata», aveva chiesto la signora al suo Paolino poco prima di morire. Mamma Rossi riposa al cimitero di Lambrate, in compagnia di un altro fuoriclasse dell'umorismo, Beppe Viola (milanista) e dello scriba di sport Gianni Mura (interista, “filoChievo”) e il giorno dopo il trionfo nerazzurro in Champions (2009-2010, l'anno del triplete) suo figlio si presentò lì con una sciarpa. «Comprai delle margherite e la sciarpa la nascosi dietro ai fiori, non mi sembrava opportuno entrare in quel luogo come allo stadio... Ma poi vidi un signore che stava piantando una bandiera dell'Inter di fronte a una tomba e poi una Coppa dei Campioni gonfiabile attaccata all'ala di un angelo di un monumento funebre...». Così, anche la sua sciarpa cominciò a sventolare sulla tomba della madre. E ora, mi piace pensare che seduto su di una nuvola, anche il più grande Galantuomo del calcio italiano, Giacinto Facchetti, si stia godendo quest'attimo di eterno interismo. Il nostro storico fattorino, il Ganda, dal suo rifugio ligure mi ricorda: «Giacinto Magno era il simbolo di quell'Inter che il 2 maggio di cinquant'anni fa (stagione 1970-'71) vincendo, 5-0 contro il Foggia, con tre giornate d'anticipo conquistò il suo 11° scudetto. E io da San Siro corsi in Piazza Duomo a festeggiare». Corsi e ricorsi storici. Oggi, 4 maggio, è il 72° anniversario della sciagura aerea di Superga in cui morirono i calciatori del Grande Torino. Ultima lodevole iniziativa che tiene viva la memoria di cuoio, è quella del Comune di Chioggia: in riva Vena presto aprirà il “Museo Ballarin”, dedicato ai due piccoli eroi granata, i fratelli Aldo e Dino, morti entrambi nello schianto del '49.
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