Bellezza e necessità della fatica (e della contaminazione)
mercoledì 14 novembre 2018
Nel 1891 il torinese Angelo Mosso pubblicò, con l'editore Treves, un libro dal titolo geniale: La Fatica. Così, senza sottotitolo, senza nessuna altra spiegazione. La Fatica e basta. Angelo Mosso, manco a dirlo, era nato in una famiglia operaia molto povera, passò la sua infanzia nella bottega da fabbro del padre e sviluppò in quegli anni un atteggiamento nei confronti della vita fondato sull'idealizzazione del sacrificio. Come in tante storie umane esemplari di fine Ottocento riscattò le condizioni così complicate del suo venire al mondo grazie allo studio. Si laureò a pieni voti in Medicina e incominciò una brillantissima carriera di ricercatore sperimentale. Girò l'Europa, costruì intorno a sé stima, ammirazione, fama tanto che al ritorno nella sua Torino ottenne la direzione dell'Istituto di Fisiologia, inaugurando un periodo di grande splendore per gli studi di biologia e fisiologia italiana.
Nel 1904, Mosso fu nominato senatore e contemporaneamente (a uno come lui non poteva che succedere così) si ammalò gravemente. Molti suoi colleghi medici lo implorarono di lasciare studi, laboratori, biblioteche dove passava giornate intere a studiare, a fare esperimenti, a sfamare la sua straordinaria curiosità, per riposare e vivere di più all'aria aperta in modo da ritardare i sintomi della malattia. Accettò quel consiglio, a suo modo. Si appassionò di archeologia, partecipando a ricerche a Creta e nel Sud dell'Italia, fino al giorno della sua morte, fra sofferenze descritte come "atroci", sopportate con fermezza, dignità sabauda e una inesauribile voglia di curarsi: con la fatica, appunto. Già perché tornando alla sua produzione letteraria oltre a pubblicazioni come: La Paura, La Temperatura del cervello, La fisiologia dell'uomo sulle Alpi, troviamo cose profetiche per quegli anni di pionierismo dello sport, in cui nascevano il calcio o l'aviazione moderna e in cui gli sport di fatica come il ciclismo, la lotta, la boxe appassionavano le folle.
Angelo Mosso, infatti, pubblicò nel 1891 il citato La Fatica, nel 1893 L'Educazione Fisica della Gioventù, un anno dopo La Fatigue Intellectuelle et Physique per un editore parigino e nel 1903 Mens Sana in Corpore Sano. Nei suoi scritti Educazione fisica della gioventù e Riforma della ginnastica si scagliò contro i sistemi educativi nei quali non si pensa ad altro che al cervello e in maniera del tutto coerente, diventò dal 1896 (fino alla morte) il presidente della Società Ginnastica di Torino, la più antica polisportiva italiana, ancora oggi esistente. Il suo approccio olistico allo studio della fatica (il primo capitolo del libro inizia con l'analisi della migrazione degli uccelli dall'Africa: quaglie, rondini, gru, cicogne, che dopo nove ore di traversata presentavano estrema stanchezza) e le sue convinzioni scientifiche lo portarono a organizzare il primo Congresso nazionale di Educazione Fisica, nel 1898, proponendo in tale sede il primo Campionato di Calcio che verrà disputato, proprio a Torino, l'8 maggio di quell'anno. Insomma, dobbiamo tanto a questo scienziato che interpretò la fatica come un meraviglioso farmaco. Viviamo in un mondo che tenta di azzerare la fatica, di annullarla, di demonizzarla. Viviamo in un Paese (questo purtroppo vale per l'Italia, molto meno per tanti altri posti del mondo) in cui la scuola ha rinunciato a trasmettere il valore della fatica, per esempio deprivando di ogni dignità l'insegnamento della disciplina dell'Educazione Fisica.
La rielaborazione di un messaggio come quello di Angelo Mosso che ci ricorda che l'uomo deve formarsi tutto, fisicamente, moralmente, intellettualmente e che l'allenamento, l'intreccio, la contaminazione di queste tre dimensioni porta beneficio a ciascuna di loro, è una necessità modernissima. Soprattutto per coloro a cui Mosso si rivolge, con un accorato appello, nelle ultime righe della Fatica. Sono gli insegnanti (e fra di essi, a tutto tondo, gli allenatori) a cui Mosso ricorda il potere meraviglioso che hanno fra le mani: «I concetti e le idee nuove espresse da voi nel momento della lezione, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita. Vi rallegri la speranza che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: