Assedio alle pensioni rosa
martedì 28 giugno 2011
È difficile dimenticare la sentenza C/46 del 2007 della Corte di giustizia europea. Ha scatenato uno tsunami previdenziale dagli effetti incalcolabili. La pronuncia è quella che, in omaggio alla pari opportunità tra uomini e donne, ha riconosciuto ad una lavoratrice statale italiana il diritto a percorrere la stessa carriera di un impiegato uomo, pensione compresa, e quindi fino ai 65 anni di età. Dopo due anni di esitazioni, pur temendo l'impatto della sentenza che di fatto aumenta da 60 a 65 anni l'età pensionabile delle lavoratrici del settore pubblico, l'Italia non ha potuto sottrarsi alla nuova regola. Con buon senso l'Inpdap, il gestore delle rendite statali, ha stabilito un aumento graduale dell'età, iniziando da 61 anni fino a raggiungere i 65 nel 2018. Troppo poco però, secondo la Commissione Europea, che ha intimato al Governo italiano una accelerazione sull'aumento dell'età, così da stabilire la pensione femminile a 65 anni già dal prossimo 2012.
Tutto questo ha prodotto una serie di provvedimenti che a cascata ricadono su milioni di lavoratori pubblici e privati. Accade così che le lavoratrici statali vicine alla pensione Inpdap cerchino di sfuggire al laccio della maggiore età. Ricorrono ad una vecchia legge, la 322/1958, che consente di dimettersi appena prima della pensione pubblica e riceverla invece dall'Inps ancora a 60 anni. I "competenti" ministeri si accorgono, solo dopo mesi, di questa scorciatoia che svuota il sistema Inpdap e aggrava invece i bilanci dell'Inps. Pronta la soluzione: la 322 è cancellata. Ma resta ancora per le statali, e per ogni altro impiegato, la possibilità di passare all'Inps cumulando gratis i contributi dello Stato come consente la legge 29/1979. Diventa inevitabile allora cancellare la gratuità di questo cumulo e dallo scorso luglio la legge 29 diventa a pagamento per tutti, senza eccezioni. Nella stretta cadono anche diversi lavoratori privati, uomini e donne, che secondo la propria assicurazione Inps, utilizzavano legittimamente il cumulo gratuito dei contributi. Due categorie non da poco: gli addetti del settore elettrico e quelli del settore telefonico. L'onere da sostenere per la pensione di categoria diventa insostenibile, sindacati e associazioni protestano, invocando, unica via d'uscita, il ripristino delle disposizioni originarie.
Ma non è finita. Perché deve valere per tutte le statali la pensione a 65 anni, mentre per le dipendenti private ancora a 60 anni? Così, complice la situazione finanziaria a
caccia di nuove risorse, è spuntato un piano del Tesoro per elevare la pensione a 65 anni anche alle assicurate dell'Inps. E' un provvedimento che avrebbe visto ugualmente la luce fra diversi anni, ma ricordando la sentenza europea, appare per questo più sgradevole. Curioso è che la vecchia sentenza ha considerato gli statali come lavoratori che svolgono una professione regolata da norme pubbliche. Perché nessuno ha obiettato su una impostazione così estranea alle nostre leggi?
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