Ana Maria e le bambole nere delle schiave delle piantagioni
giovedì 1 aprile 2021

Le bambole di pezza indossano vestiti variopinti, hanno capelli ricci e gonfi, viso, gambe e braccia scurissime. Sono le muñecas negras, le bambole nere confezionate dalle schiave dello zucchero. Donne invisibili, che vivono in piccole comunità semiclandestine nelle piantagioni della Repubblica Dominicana, la cui origine storica affonda nell'epoca coloniale e schiavista. Senza documenti, malpagate, tenute in condizioni di ignoranza e soggezione, sottoposte ad abusi fin da bambine e vittime di pregiudizi nei confronti di chi, come loro, proviene dalla parte occidentale, quella haitiana, dell'isola caraibica di Hispaniola.

Ana Maria Belique

Ana Maria Belique - .

Alle sofferenze delle donne delle piantagioni Ana Maria Belique, giovane sociologa e attivista di origine haitiana ma nata e cresciuta nella Repubblica Dominicana, sta dedicando le sue migliori energie. La svolta nel 2013, quando richiese il duplicato dell'atto di nascita e le fu negato: una riforma costituzionale appena approvata privava lei, come altri 200mila haitiani o figli di haitiani, della possibilità di vivere regolarmente nella Repubblica Dominicana. In un solo anno, tra il 2015 e il 2016, più di 100mila persone furono "rimpatriate" nell'altra parte dell'isola. Ana Maria decise che era ora di combattere. Fondò il collettivo Reconocido (www.reconoci.do), una rete giovanile per contrastare il razzismo e assistere chi, come lei, aveva perso dall'oggi al domani la prospettiva di un lavoro regolare o di iscriversi a una scuola. In particolare per le donne, che sono le più vulnerabili, nel marzo 2019 Ana Maria ha avviato il progetto Muñecas negras nel batey, comunità-ghetto, di Sabana Larga, nella provincia di Monte Plata, 50 chilometri a nord della capitale Santo Domingo, e poi pian piano in altre comunità.

A gruppi di 15, ogni sabato adolescenti, bambine e donne che lavorano come braccianti nelle immense piantagioni di canna da zucchero si ritrovano per confezionare le bambole di stoffa e soprattutto per parlare di ciò che vivono. Senza scuole, con paghe che non garantiscono nemmeno la sopravvivenza, sfruttate e soggiogate, spesso costrette alla prostituzione per dar da mangiare ai figli, le donne dei bateyes faticano anche a sperare. Ma negli incontri del sabato riescono talvolta a sorridere.

I laboratori di bambole per le donne delle piantagioni

I laboratori di bambole per le donne delle piantagioni - http://xn--muecasnegrasrd-rnb.com/

«L'obiettivo dei laboratori è aumentare la loro autostima e creare legami che le rafforzano – racconta Ana Maria ad Avvenire –. Riconoscono se stesse nelle bambole, così diverse da quelle che si trovano nei negozi, bianche e magre. Ma non è il prodotto che conta, bensì lo spazio che si crea per le donne, per raccontarsi e così facendo mettere a fuoco un progetto di vita e di emancipazione». Dopo una pausa forzata a causa dell'epidemia, i laboratori e gli incontri sono ripresi in tre comunità. «Le bambole vengono vendute nei mercati e con il ricavato le ragazze realizzano qualche piccolo sogno».

Ana Maria racconta che un'adolescente ha potuto iscriversi alla scuola infermieristica, un'altra ha saldato un debito che la stava stritolando, un'altra ancora ha voluto acquistare un mobile per abbellire la casupola di lamiera in cui vive. Nella Repubblica Dominicana (ex colonia francese, più fertile e ricca) esiste un grave problema di razzismo verso gli afrodiscendenti haitiani, dalla pelle scura e afflitti da una povertà endemica che li costringe a passare il confine affrontando un futuro da irregolari. Le piantagioni risucchiano gli uomini ma ancora di più le donne. Nel ghetto anche una bambola può fare la differenza.

I laboratori di bambole per le donne delle piantagioni

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Ha collaborato Raùl Zecca Castel, antropologo, autore del libro reportage sulle donne dei bateyes "Mujeres. Frammenti di vita dal cuore dei Caribi", Arcoiris.
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