Allevare i grilli per farne mangimi
domenica 3 febbraio 2019
Agroalimentare d'innovazione, oltre i confini delle nostre abitudini. Che d'altra parte stanno cambiando sull'onda dei mutamenti degli orari di vita quotidiana, ma anche a seguito delle provocazioni della moda e della facilità delle comunicazioni e dei commerci. È il "novel food". Cibo inconsueto, a base d'insetti. Che non è solo curiosità, ma settore economico con una sua dimensione e una sua dignità d'essere. E intanto, combattuti fra la tradizione enogastronomica nostrana e l'esplorazione di nuovi piatti, gli italiani osservano ma non si dimostrano poi così refrattari ai nuovi piatti. Premesse buone che in queste settimane potrebbero lanciare il mercato anche in Italia sulla base delle regole europee in vigore da gennaio. Fra le imprese c'è comunque chi ci crede già. È il caso degli allevamenti di grilli che sono ormai una realtà in alcune aree come quelle del Piemonte dove due imprenditori hanno dato vita a Italian Cricket Farm, definita come «la prima, la più grande e la più tecnologica entomo-farm d'Italia», specializzata appunto nell'allevamento dei grilli. Una cosa seria visto che serie sono le imprese che l'hanno fatta nascere (insieme fatturano nell'alimentare già milioni di euro). Il progetto prevede l'impiego dei grilli in zootecnia, come mangime dei polli da allevamento a terra, all'interno dei cibi per animali domestici e nell' alimentazione umana. Al momento all'Italian Cricket Farm vengono prodotti 200mila grilli al giorno, certificati virus free, ma la prospettiva è quella di arrivare a trattare qualcosa come 10 milioni di grilli al giorno. Dimensioni apparentemente incalcolabili, ma che a quanto pare hanno un loro mercato. Basta pensare che, solo nel campo delle farine, si potrebbe aprire un comparto che in termini generali, stando alle indagini delle imprese, vale quasi 4 miliardi di euro, senza contare quello degli integratori che raggiunge oggi i 3,3 miliardi di euro e quello dell'alimentazione animale che è di circa 6 miliardi di euro. Alle novità comunque ci si deve abituare. Secondo una indagine condotta per conto di Coldiretti/Ixé per ora solo il 16% degli italiani sarebbe favorevole a questo tipo di alimenti (il 54% sarebbe addirittura contrario). Ma l'attenzione c'è tutta, tanto da muovere centri di ricerca e custodi della tradizione alimentare nazionale come l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) ispirata da Slow Food e che ha già effettuato dei test di degustazione.
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